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22 Aprile 2019 - Storie

Alex Zanardi: vita, crepuscolo e resurrezione di un uomo infinito

Ancora cinque secondi
 
Mi vengono attribuite doti che sicuramente io ho, ma che non fanno parte esclusiva del mio repertorio. Fortunatamente. Sennò si partirebbe dal presupposto che Zanardi ce l’ha fatta perché è una specie di Superman e non è assolutamente vero: un sacco di ragazzi hanno fatto cose simili alle mie.

Per carità, non ditegli che è una persona straordinaria. Non fategli domande su come abbia fatto o se possegga qualche segreto inconfessabile. Vi risponderà controvoglia, sminuendosi, virando subito su terreni molto più famigliari: ci vuole passione e curiosità. Sì, Alex Zanardi da Castel Maggiore, cinquantatré anni il prossimo ottobre, dirà proprio così: passione e curiosità. Non ci sono ricette particolari o segreti sottaciuti. Lui è una persona come le altre che prova semplicemente a fare il meglio con quello che ha.

Tu Sandrino dai il massimo, se le prendi, buonanotte! Se le dai, meglio! Se domini non provare imbarazzo perché non è un problema tuo, anzi, quando dai tutto è in fondo anche il miglior modo di rispettare gli avversari.

Se gli chiedete di parlarvi del padre gli si illumineranno gli occhi.
Zanardi, figlio di un idraulico e di una sarta, per papà Dino nutre gratitudine infinita. Non c’è intervista durante la quale non lo citi ripetendo a memoria i suoi insegnamenti. Nulla di filosofico, non chissà quali stille di sapienza, ma tanto verace pragmatismo bolognese. Fai il massimo con quello che hai.
Zanardi, pilota automobilistico di altissimo livello, due volte campione mondiale di Formula CART. Del suo incidente si sa tutto ma rievocarlo è un rituale che ne esalta dolore e mistero. Il 15 Settembre 2001, sul circuito tedesco di Lausitzring, mentre conduce la corsa alla guida della sua Reynard Honda, perde improvvisamente il controllo della vettura e viene centrato in pieno a più di trecento km orari. Nell’impatto le gambe vengono tranciate di netto, la morte improvvisamente signoreggia ghignando. Il cappellano del circuito intuisce la situazione e gli conferisce l’estrema unzione con quello che trova, l’olio del motore. Ciò che accade in seguito neppure gli scienziati della NASA che hanno studiato il caso riescono a spiegarlo: per più di cinquanta minuti il pilota resta con meno di un litro di sangue in corpo, ha sette arresti cardiaci e subisce sedici interventi chirurgici. Riavutosi dal coma scopre che gli arti inferiori non ci sono più. Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non quella che è andata persa.
Non c’è modo di circoscrivere una prospettiva del genere.
Vertigine d’amore per la vita? Sublime pazzia?
 
Sia tutto, ma non parlategli di miracoli. Zanardi accede alla fiammella interiore che fa luce nelle tenebre: l’essere umano non la vivifica quasi mai. Quasi, appunto.
Nel 2003 torna a Lausitzring, per completare i tredici giri mancanti.
Lo fa con tempi spaventosamente veloci, commuovendo il mondo.

Non volevo dimostrare niente a nessuno, la sfida era solo con me stesso, ma se il mio esempio è servito a dare fiducia a qualcun altro, allora tanto meglio.

Tutto il resto è bellezza, come il sapore di un piatto fatto in casa di tagliatelle alla bolognese. Cosa sono le vittorie, le onorificenze, le medaglie! Quello è il divertimento, la libidine. Ciò che conta è il piacere della fatica, l’appagamento dopo aver dato tutto: se poi arriva qualcosa tanto meglio. Ci vogliono curiosità e passione. La scoperta dell’handbike per puro caso, al posteggio di un autogrill, sul tetto di una macchina, ha un che di fantomatico e impenetrabile. Zanardi dal nulla plasma letteralmente una seconda vita, diviene non solo uno degli sportivi italiani più amati al mondo, ma ascende alla dimensione degli eroi, dei modelli viventi, un’idea di speranza per chi cerca ispirazione o conforto. Non ricordateglielo però, perché farà di tutto per minimizzare qualunque sinfonia ad personam.

L’esistenza è materia complessa. Alle volte plasmarla sembra impossibile. E’ come creta refrattaria, malta incapace di legarsi. Zanardi lo sa bene. Nell’agone sportivo, ma in fondo anche nella vita, dopo la stanchezza c’è la sofferenza e dopo la sofferenza c’è solo quella che lui chiama tristezza: una sensazione di dolore misto alla resa, quando poco prima di accasciarsi al suolo restano energie solo per vomitare.
Ero triste, talmente esausto da provare tristezza e se avessi seguito il mio istinto mi sarei semplicemente fermato per piangere.
Ma cos’è la realtà allora?
Forse infinite possibilità che coesistono contemporaneamente come sostengono i fisici quantistici.
Il collasso della funzione d’onda per Zanardi sta in cinque, piccolissimi, secondi. Un’inezia, praticamente nulla.
Che però può produrre miracoli. Per trovare qualcosa dentro, penso: ancora cinque secondi, dai, che vuoi che siano. Chiudo gli occhi e spingo, sentendo la fatica e il dolore. Poi li riapro e magari scopro che sono gli avversari ad aver mollato. Cinque secondi sono ovunque intorno, ma quei cinque secondi appartengono solo alla dimensione degli uomini che sanno sfidare gli dei.

Il ritorno al volante, le vittorie al campionato del mondo turismo snocciolate insieme alle quattro medaglie d’oro alle olimpiadi paralimpiche e alle dieci ai mondiali su strada, battendo avversari che dovevano ancora nascere quando lui a fine anni ’80 già correva in Formula 3. All’ironman di triathlon a Cervia nel settembre scorso chiude quinto assoluto tra 2700 partecipanti, superando i normodotati, completando in 8h e 26’ qualcosa come 3.8 km di nuoto, 180 km di bicicletta e 42 km di corsa. Il record del mondo paralimpico è infranto di oltre mezz’ora, a cinquantadue anni. Non proprio il campanaro, il sagrestano e la perpetua nella gara della parrocchia. Al termine di ogni impresa Zanardi racconta di un senso di malinconia, giusto per assaporare la consapevolezza che il presente è già alle spalle e davanti si staglia un’altra scalata, l’ennesima missione impossibile. Il tempo di realizzare è un nonnulla tra i ricordi e il prossimo sogno. Poi via, verso il futuro, verso qualcos’altro ancora. Con un incantesimo di ottimismo e un velo di incrollabile ironia, perché la vita a sorriderle ti guarda sorridendo. Se mi rompo le gambe adesso mi bastano un cacciavite e una brugola. Già Alex, non c’è dubbio: hai ragione tu.
Zanardi alla premiazione dei  "Caschi D'oro" 2001,  tre  mesi dopo l'incidente:
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