Il lato gentile della produttività
Vado in Giappone due volte l’anno, ormai da parecchi anni, dove lavoro conducendo gruppi di mindfulness e di crescita personale. In questi viaggi ho potuto osservare e partecipare a pratiche e atteggiamenti che intrecciano buddhismo Zen, ritualità quotidiana, una forte etica del lavoro e una gentilezza diffusa che rende possibili modalità di relazione più calme e rispettose. In questo articolo racconto cosa ho imparato, quali contraddizioni ho incontrato e come ho tradotto queste esperienze in strumenti concreti per migliorare la qualità del lavoro e della vita professionale.
Contesto culturale: cos’è lo Zen al lavoro
Lo Zen non è soltanto una scuola religiosa, ma un orizzonte estetico e pratico che influenza modi di fare e pensare. Alcuni concetti chiave:
- Zazen: la meditazione seduta come allenamento dell’attenzione e della postura.
- Ritualità quotidiana: ogni gesto — dal preparare il tè al pulire — è svolto con attenzione piena.
- Wabi-sabi: estetica che valorizza la semplicità, la sobrietà e l’imperfezione.
- Disciplina e dovere: la dedizione al lavoro è socialmente apprezzata e spesso sacralizzata.
- Gentilezza diffusa: cortesia e attenzione reciproca facilitano relazioni collaborative e un clima di lavoro più sereno.
La mia esperienza personale
Prima impressione: rigore, silenzio e gentilezza. Ogni volta che torno in Giappone noto lo stesso rigore: orari precisi, poche distrazioni rumorose, comunicazioni misurate. A questo si aggiunge una gentilezza quotidiana — gesti di rispetto, disponibilità e premura — che favorisce un ambiente in cui è più semplice praticare la presenza e l’ascolto, sia nei contesti formali sia negli incontri che conduco.
Zazen e piccoli riti
Nei miei soggiorni partecipo a sessioni di zazen in templi e organizzo pratiche con i partecipanti ai miei gruppi. Zazen è presentato come modo per ricalibrare corpo e mente: sedersi con la schiena dritta, osservare il respiro, tornare al presente. Anche semplici rituali — come la preparazione del tè o la pulizia degli spazi comuni — vengono affrontati con attenzione e diventano momenti di centratura che integro nelle mie attività di crescita personale.
Presenza nei gesti e qualità del lavoro
Eseguire compiti con cura riduce errori e frustrazione. Sistemare materiali con ordine o controllare una consegna con attenzione porta a risultati migliori e un senso immediato di soddisfazione. Nelle sessioni che conduco, lavoro su questi aspetti pratici per trasferirli nel quotidiano lavorativo dei partecipanti. La gentilezza delle persone spesso amplifica questi effetti: il rispetto reciproco rende più agevole l’adozione di pratiche condivise.
Comunicazione e ascolto
La parola è spesso usata con parsimonia e si ascolta più a lungo prima di rispondere. Nei miei gruppi incoraggio domande aperte, spazi di silenzio e il riconoscere che il silenzio non è un vuoto ma un contenitore di riflessione. La cortesia giapponese si manifesta anche nel modo in cui le persone si offrono sostegno senza invadenza, favorendo un ascolto autentico.
Contraddizioni: cura vs. sovraccarico
Non tutto è armonia. Esiste la realtà dell’overwork (karoshi) e aspettative sociali che spingono a sacrifici eccessivi. La mindfulness aiuta a individuare segnali di esaurimento, ma non sostituisce cambiamenti strutturali: regolamentazioni aziendali, politiche di welfare e rispetto dei tempi di vita.
Benefici osservati
- Maggiore concentrazione e meno multitasking improduttivo.
- Riduzione degli errori grazie a gesti più attenti.
- Migliore qualità delle interazioni e ascolto più profondo.
- Aumento del senso di responsabilità condivisa nello spazio di lavoro.
- Spirito di collaborazione favorito dalla gentilezza e dalla cura reciproca.
- Maggiore capacità di riconoscere segnali di stress precoce.
Guida pratica in sette passi per portare lo Zen al lavoro (senza diventare monaci)
1) Micro-zazen (5–10 minuti): all’inizio della giornata o dopo pause lunghe, siediti con schiena dritta e osserva il respiro. Conta fino a 10 e ricomincia se la mente si perde.
2) Ritualizza le pause: trasforma la pausa caffè o il tè in un breve rito consapevole — prepara con attenzione e assapora senza multitasking.
3) Lavoro in blocchi: programma sessioni di lavoro intense (45–60 min) seguite da pause brevi; evita il multitasking.
4) Inizia le riunioni o gli incontri con 1–2 minuti di silenzio: può essere un respiro collettivo o un momento per riorientare gli obiettivi.
5) Cura dello spazio: promuovi pulizia e ordine condiviso; il gesto di sistemare rilancia responsabilità e chiarezza mentale.
6) Domande aperte e ascolto attivo: privilegia domande che stimolino riflessione e rallenta prima di rispondere.
7) Coltiva la gentilezza quotidiana: piccoli gesti di rispetto e attenzione rafforzano la fiducia e facilitano l’adozione di pratiche mindfulness.
Esempi pratici di implementazione aziendale
- Programmare pause mindfulness obbligatorie: 10 minuti ogni 2–3 ore.
- Offrire brevi corsi di meditazione e spazi per la quiete; io stessa tengo workshop durante i miei soggiorni.
- Introdurre rituali di inizio/chiusura incontri (respiro condiviso, check-in veloce).
- Misurare risultati per output e non solo per ore lavorate; promuovere lavoro per obiettivi.
- Stabilire politiche chiare contro l’eccesso di straordinari e per il rispetto del tempo libero.
- Promuovere pratiche di gentilezza organizzativa: riconoscimento, ringraziamenti espliciti, supporto reciproco.
Critiche e limiti
- La mindfulness non è cura universale: può essere strumentalizzata per sopportare condizioni lavorative inique.
- Evitare approcci superficiali che trasformano la pratica in moda senza cambiamento strutturale.
- L’integrazione deve rispettare contesti culturali e bisogni individuali: non tutte le pratiche funzionano per tutti.
Andare in Giappone, due volte l’anno e condurre gruppi mi ha mostrato come lo Zen e la gentilezza quotidiana possano offrire strumenti concreti per migliorare la qualità del lavoro: attenzione ai gesti, rispetto del processo, ascolto profondo. Per essere davvero efficace, la mindfulness va però accompagnata da politiche organizzative che proteggano il tempo di vita e prevengano lo sfruttamento. Dalla mia esperienza emerge una lezione semplice ma potente: lavorare meglio non significa lavorare di più, ma lavorare con più presenza e gentilezza.