Vai ai contenuti

I sold out del terzo millennio - InEsergo

Salta menù
Title
Salta menù
ARTICOLI MENO RECENTI

L'eredità di Francesco

Né teologo né pastore: politico

Dagli anni ’80 a Capitol Hill

Il ritorno dell’estremismo in ‘The Order’

I soliti sospetti

Colpevoli perfetti, processi sbagliati e vite distrutte nel nome del sospetto

Piccoli mostri crescono (sui social)

Tra narcisismo e mercificazione, ecco come il web ha partorito la sua creatura più inquietante

Se mi lasci ti cancello

La fine di una relazione tra neuroscienza, cinema e psiche: perché dimenticare non è mai così semplice

La donna barbuta e il cratere dei sogni interrotti

Nel freak show dove i mostri sono fuori dal tendone

Due soli al crepuscolo

La musica contro la guerra

Il corpo di dolore

L'Ombra Invisibile della Mente

Ponte Morandi: la verità è un anelito a prezzo di costo

Genova vuole credere nella giustizia. Genova vuole rispetto per i suoi morti. Genova chiede la Verità.
09 Settembre 2025 - Musica

Tra social, marketing e biglietti regalati: la parabola dei concerti che sembrano pieni ma non lo sono
  
I sold out del terzo millennio
 
In ambito musicale si tratta senza ombra di dubbio del tema più dibattuto degli ultimi mesi, perfino nelle pagine satiriche: il “fenomeno” dei cosiddetti sold out fittizi, mediante i quali artisti (più o meno) di grido vantano attraverso i social di aver riempito stadi, piazze e palasport in largo anticipo, attraverso mirabolanti prevendite (fantomatiche, direi piuttosto) che dovrebbero garantire platee gremite in ogni ordine di posti.

Faccio un piccolo passo indietro: ricordo un concerto di Fabio Concato, artista raffinato e musicalmente estremamente preparato. Il luogo era un piccolo tempio della musica: il Teatro Ponchielli di Cremona, una sorta di “piccola Scala” a livello architettonico, noto anche per l’eccellente acustica. Non pochi artisti, infatti, hanno registrato album live a Cremona, proprio al Ponchielli, come Enrico Ruggeri o Ivano Fossati. Bene, quella sera molti biglietti rimasero invenduti, al punto che ci rimasi davvero male nel vedere mezza platea vuota. Fabio Concato, in quel periodo, era ancora un’artista in grado di riempire teatri o comunque luoghi dediti alla musica di un certo livello. Siamo nei primi anni 2000 (quell’anno Concato concorse a Sanremo con la delicata ballad Ciao Ninìn, singolo apripista di uno dei più bei dischi mai prodotti dal cantautore milanese). Eppure, quella stessa collocazione era stata in quel periodo la sede di reali sold out (ero presente) con artisti come Vinicio Capossela e Irene Grandi, solo per citarne alcuni. Mi chiesi, dunque, come fosse possibile che per Concato il teatro fosse semideserto. Non era, di certo, un discorso legato alla qualità (molto alta) dell’artista lombardo. Allora cosa? Mode? La crisi economica non si era ancora fatta sentire. Caro prezzi? Casualità?

Ma torniamo ai nostri giorni. Notiamo come non pochi artisti vantino sulle proprie pagine social di spettacoli gremiti in ogni ordine di posti, i cosiddetti (finti, in questo caso) sold out. Nella realtà le cose non stanno andando propriamente in questo modo. Si tratta, infatti, di una pratica molto diffusa secondo la quale, nonostante i posti a disposizione vengano dichiarati esauriti, all’atto pratico così non è. I molti biglietti invenduti vengono distribuiti dagli stessi manager–promoter a prezzi stracciati se non, addirittura, regalati, pur di riempire il luogo deputato, dando la parvenza di “evento riuscito”. Si tratta, evidentemente, di un meccanismo perfido che punta tutto sui numeri e che manda allo sbaraglio l’artista di turno, il primo a rimetterci spesso di tasca propria (vedi, ad esempio, il caso di Elodie). Parliamo, molto spesso, di artisti con alle spalle un solo misero album e già mandati allo sbaraglio in tour senza avere la necessaria esperienza per poter gestire determinati eventi, con il solo scopo di fatturare e generare indotto da parte della casa discografica. Una volta, prima di partire per un tour, era normale avere all’attivo due o tre dischi in studio (all’incirca 35-40 brani).

Il discorso è complesso, ma “semplice” al tempo stesso. Semplice perché, evidentemente, la qualità alla lunga paga sempre o, perlomeno, sono io a essere ottimista. Paga sempre perché, in fondo, non sono le visualizzazioni o i like a determinare il successo, evidentemente transitorio, di chi basa la propria carriera sui numeri. Quanti hanno effettivamente acquistato l’album o sono stati a un concerto (a pagamento) di un artista che hanno “battezzato” con un like, magari solo per moda e con la classica concentrazione da pesce rosso in fase di ascolto? Si tratta, a mio avviso, di una bassissima percentuale, che non saprei tradurre in dati effettivi, ma non può che essere così. Sono gli stessi ragazzi nelle scuole a confessare in maniera sibillina che «non mi piace perché è ormai superato» (magari a tre mesi dall’uscita del singolo di maggior successo del loro “eroe”). E quanti sono quelli che hanno rivisto nel tempo un determinato artista, perché allineati alla poetica e alle tematiche portate avanti dall’artista stesso? Penso ai sorcini di Renato Zero, solo per fare un esempio, uno zoccolo duro che segue il cantautore romano sin dagli esordi.

Mentre scrivo queste righe mi vengono in mente dei flash e, inevitabilmente, riprendo la macchina del tempo come faceva Marty McFly e ritorno al… passato. E allora penso all’adrenalina per l’acquisto di un album tanto atteso, al rituale di scartare il cd e inserirlo nel lettore, ascoltando tutto senza pigiare sul tasto skip, leggendo sempre con molta attenzione il booklet contenente i testi e i credits. Era tutto frutto della mia volontà, non esistevano i social, i like e questa pseudo cultura dell’effimero. Alle volte era il semplice passaparola a farci scoprire artisti, generi, musicisti, anche senza l’ausilio delle radio. Sto sognando? Sono nostalgico? Sicuramente, ma ne vado fiero. Anche perché, per quanto mi riguarda, funziona così. Non so cosa siano le radio e fuggo a gambe levate da Spotify o da compilation precostituite.

Il fenomeno, tuttavia, è anche molto complesso perché, non di rado, implica la componente psicologica dell’artista. Va a finire che giovanissimi musicisti, che si sono accaparrati una non esigua fetta di pubblico magari attraverso un singolo tormentone, siano poi costretti a prendersi una pausa da tutto perché non in grado di gestire i loro stessi numeri, il successo, le ospitate, il dover apparire a tutti i costi anche quando non si ha molto da dire, o pubblicare album a stretto giro, con conseguente deterioramento del prodotto stesso, solo perché un contratto discografico ti vincola a farlo. Marco Masini, in tempi non sospetti, cantava “ma la musica è cattiva, è una fossa di serpenti e per uno che ci arriva quanti sono i fallimenti”. Profetico? Sicuramente.

Non voglio, tuttavia, essere catastrofico. Esisteranno sempre, nella musica, nel cinema come nell’arte in generale, artisti indipendenti non soggetti al gioco subdolo delle major, che non riempiranno di certo palasport o stadi, ma continueranno a godere di uno zoccolo duro di fan, per quanto piccolo, che venderanno i loro album direttamente ai concerti perché non sostenuti dalla grande distribuzione, sorretti da onestà intellettuale, in grado di creare prodotti realmente artistici. Per pochi, non per tutti. E fanculo ai sold out!



Torna ai contenuti
Icona dell'applicazione
InEsergo Installa questa applicazione sulla tua schermata principale per un'esperienza migliore
Tocca Pulsante di installazione su iOS poi "Aggiungi alla tua schermata"