L’eredita di Francesco

Con queste note, intendo tracciare un profilo sommario del papato che si è appena concluso, attenendomi strettamente a considerazioni riassuntive dei 12 anni in cui non ho visto all’opera un teologo né un pastore di anime, ma un politico. Francesco non è stato pontifex né vicario, non ha convertito nessuno di quelli che nei giornaloni, in televisione, in Parlamento dopo la sua morte hanno parlato bene di lui per usarlo ipocritamente. È stato un papa orizzontale, portatore di un'etica umanitaria che sta perfettamente in piedi anche senza Cristo, compassionevole, laicista, buddhisteggiante. Se ponti ha gettato, l’ha fatto verso i poveri di ogni razza e religione (e fin qui tutto bene), ma dando, con tesi a senso unico, la colpa della loro condizione non solo ai ricchi sfruttatori e depredatori di miniere e territori, ma praticamente a tutti quelli che hanno un tetto sopra la testa, un lavoro anche precario e due figli da crescere. Mortificando i fedeli che, andando alla messa, non trovavano mai un’omelia che parlasse di loro, ma solo di migranti da mantenere vita natural durante a un costo superiore della pensione dei loro padri. Senza mai proporre uno straccio di soluzione e mettendo in particolare difficoltà uno Stato già in crisi nera come l’Italia.
Ha mandato in solluchero i più acerrimi esaltatori dell’ateismo progressista, mostrando aperture spesso confuse attraverso una comunicazione apparentemente affabile, ma nella sostanza tagliente e divisiva, creando sconforto fino all’umiliazione in un certo cattolicesimo di continuità. Sì, è vero che all’atto pratico non ha ufficialmente sconvolto il magistero, ma ha ampiamente agito con fare politico all’interno della sua Istituzione, nominando una valanga di cardinali che la pensano come lui, togliendo forza e smalto a movimenti come Opus Dei e CL, gli unici in grado di catalizzare la sempre più rara intellettualità cattolica, per tacere del sinodo sulla sinodalità che mette i laici in condizione di imporre decisioni ai consacrati. Ci sarebbero anche da evidenziare alcune nomine strategiche come Fernandez alla Dottrina per la Fede e Zuppi alla CEI, come la deriva di Avvenire che molti non considerano più un giornale cattolico. Viene da chiedersi se per la Chiesa sia più importante piacere a Dio o piacere al mondo.
Ha creato le basi per la spallata definitiva alla tradizione. Ha portato a Roma una prospettiva culturale molto discussa e pesantemente redarguita dai suoi predecessori, quella della teologia della liberazione, impregnata di marxismo, materialismo dialettico, classismo, sorpassata rispetto alle dinamiche attuali del globalismo socioeconomico condizionato dallo strapotere della finanza. Si è fermato alla lotta dei poveri tutti onesti contro i ricchi tutti delinquenti, umiliando e colpevolizzando il ceto medio che alla fine dei conti con i suoi contributi tiene in piedi lo stato sociale in tutto l’Occidente. Non si è curato del fatto, ben denunciato da Ratzinger nella sua Introduzione al Cristianesimo, che la teologia della liberazione porta a questo: lo svuotamento progressivo di significato della trascendenza e quindi anche dei riti e dei sacramenti, un cristianesimo senza Cristo. Un papa a tutti gli effetti sudamericano di estrema sinistra, un campesino, un guerrigliero che ha legittimato definitivamente la “grande chiesa” di Jovanotti (che non per caso è la colonna sonora delle animazioni oratoriali). Va peraltro detto che tanto massimalismo non era annunciato al tempo dell’elezione. Bergoglio aveva più fama di peronista, sembrava più orientato al quieto vivere social-democristiano. Ma, una volta uscito dal suo habitat, si è spinto tutto da una parte. Con sorpresa di non pochi dei suoi elettori.
Lenin l’avrebbe definito un “utile idiota” (che per i comunisti non è un insulto, sia chiaro, ma una categoria politica molto ricercata). Si è preoccupato di piacere al mondo, a un certo mondo, senza provare nemmeno a convertirlo, forse facendo coincidere nella sua valutazione la giustizia sociale con la giustizia divina. Peccato però che la prima sia contingente, la seconda eterna. Così eccoci alla santificazione di Bonino, Murgia, e al “vaccino atto d’amore” (Cristo non si è fatto uomo affinché un giorno un papa si facesse uomo Pfizer). Ha fatto il gioco dei radical chic, di Fazio, Serra, Saviano, Gruber, Cecchi Paone, LA7 in blocco. Rimane clamoroso il mancato segno della croce davanti alla salma di Giorgio Napolitano.
Ha spedito in un monastero d’Africa Monsignor D’Ercole per aver criticato l’increscioso comportamento della Chiesa durante la pandemia, emarginato fino alla scomunica chi ostacolava la sua visione radicale. Alcuni suoi atteggiamenti, come le scelte della residenza romana in vita e anche post-vita, la rinuncia al titolo di Vicario di Cristo (fatto clamoroso, mai sufficientemente indagato), frasi come “Chi sono io per giudicare”, “Le omelie devono essere brevi perché la gente deve andare a pranzo”, “Il pastore deve avere la puzza del gregge”, persino i cambiamenti nel protocollo delle esequie papali, che di solito vengono interpretati come gesti umili e dimessi di chi si vuole mettere allo stesso livello di un poveraccio, possono d’altro canto sembrare deprezzamenti della figura papale, martellate gratuite dirette a impoverire la maestà del ruolo o capricci dettati da un personale disagio rivoluzionario, che tuttavia inguaiano l’Istituzione tutta.
Ma si consideri anche l’aspetto social e web. In quest’epoca le dichiarazioni hanno bisogno di “ripetitori” per circolare. Ecco, il problema di Francesco è che ha avuto ripetitori solo per i temi che facevano comodo a certe lobby e potentati precisi, che hanno ricaricato alla nausea le sue parole per far sembrare legge ciò che era solo un pensiero personale espresso ad alta voce. La sua difesa della famiglia naturale, del diritto alla vita, della pace ha clamorosamente perso sul terreno della comunicazione globale, perché non ha avuto ripetitori con gli stessi mezzi a disposizione, e non se ne è preoccupato. La celebre frase “L’aborto è come affittare un sicario”, nei giorni del lutto, tutto il coro progressista degli atei è riuscito a non citarla mai, nemmeno un accenno sottovoce.
È stato usato da quelle frange organizzate che dominano molte diocesi e che hanno usato il mood terzomondista, pauperista, globalista ed ecologista di Francesco per fare politica radicale e ridefinire le priorità di un cattolico. Risultato: a furia di includere ed accogliere, non c’è più posto per Dio. Intendo per l’esperienza soggettiva e comunitaria della spiritualità profonda, dell’incontro diretto e personale nel proprio cuore col Creatore, per la salvezza eterna, per il “Cosa ci sarà dall’altra parte?”. Ma, viene da dire, se l’è voluta. Lo dimostrano le decine di libretti firmati a suo nome di una povertà concettuale imbarazzante, tutti sul pensiero positivo, di tranquilla ispirazione popolar-consumistica, tipo letture da coiffeur (scritti veramente da lui? Spero sinceramente di no!), ma non meno gravi sono certi documenti curiali ufficiali dove il papa cita se stesso, non trovando agganci nella tradizione. Insomma, un papato politico pieno di ambiguità che ha anche visto il sorgere del fenomeno dei preti social: influencer cattolici, giullari e disc jockey con in colletto rigido e coreografi di balli di gruppo, buoni solo per parlare di gioia e rimbambire i giovani con un nuovo conformismo in cui “se non va tutto bene, andrà tutto bene, perché siamo perfetti così come siamo”. E quanto al futuro, vedremo se il suo successore camminerà nel solco assolutamente di parte tracciato da Francesco o se, in quanto successore di Pietro e non del suo predecessore, userà il discernimento per tenersi sempre al di sopra delle parti come un papa dovrebbe fare.