Per fare un albero…

“[…] Sopportiamo tutto questo trascorrere. Se ci rimane soltanto l’eterno di ogni albero presente, non soffriamo del tempo che passa.”
(Goethe)
“Nel mezzo c'è tutto il resto
E tutto il resto è giorno dopo giorno
E giorno dopo giorno è
Silenziosamente costruire
E costruire è sapere
È potere rinunciare alla perfezione”
(N. Fabi)
Accadde un giorno che Monsieur Giono, impiegato di banca nella città natale, ritenne necessario dirigere lo sguardo fuori dalla finestra. Non che potesse scorgere davvero ciò a cui stava pensando: i tetti di Manosque e la distanze spazio-temporali erano ostacoli eccessivi per gli occhi ma non per le sensazioni.
Arrivò subitanea una grande calma e il respiro l’assecondò, facendosi lento e profondo.
La linfa d’aria dalle narici diede ordine alle palpebre di abbassarsi e allargò lo spazio interiore, che divenne landa desolata e pettinata da un vento senza posa, a un giorno e mezzo di cammino dal grumo di case di Vergons, nelle Basse Alpi francesi.
Monsieur Giono, seduto composto ma trasognante, percorreva di buon passo sentieri poco battuti senza una meta precisa, come si confà a ogni vero viaggiatore. Aveva quarant’anni in meno.
Stanco, senz’acqua e con poche speranze di trovarne a breve, ritrovò vigore quando…
“[…] Mi parve di scorgere in lontananza una piccola sagoma nera, in piedi. La presi per il tronco d’un albero solitario. Ad ogni modo mi avvicinai.”
Elzéard Bouffier, il pastore solitario, prese forma nello spazio interiore di Monsieur Giono con un’intensità silenziosa. Custode di un ritmo arcano, acquietò l’irrequietezza giovanile del viandante - “La società di quell’uomo dava pace” annotò nei sui pensieri -, incuriosito e ammaliato altresì da quel distillare le parole tanto quanto ponderava le ghiande sul tavolo.
E a cosa servisse quella scelta accurata lo capì solo il giorno dopo, quando lo accompagnò poco oltre il pascolo. Elzéard Bouffier è L’uomo che piantava gli alberi, pubblicato nel 1953 e diventato in breve un piccolo grande classico della narrativa del secolo scorso.
Ho immaginato il momento in cui l’autore, Jean Giono - impiegato di banca per necessità e scrittore autodidatta per vocazione - cominciò a sentire il suo racconto.
Figlio di un calzolaio piemontese e di una stiratrice, nacque e visse a Manosque, in Provenza.
Nei suoi saggi e racconti espresse temi quali la pace, il rifiuto di dittature e nazionalismi e l’invito a vivere in armonia con la natura.
“Mi dispiace deludervi” ammise con semplicità in una lettera del 1957 “ma Elzéard Bouffier è un personaggio inventato. L'obiettivo era quello di rendere piacevoli gli alberi, o meglio, rendere piacevole piantare gli alberi.”
Josè Saramago ne comprese l’importanza: “Solo chi ha scavato la terra per porne una radice o la sua speranza può aver scritto questo libro. Siamo davvero in attesa che arrivino un bel po’ di Elzéard Bouffier reali. Prima che per il mondo sia troppo tardi.”
Alimentato da quel desiderio, il famoso battito d’ali di farfalla cominciò a provocare un uragano dalla parte opposta del globo… E la realtà superò la finzione.
Elzéard da personaggio divenne persona, anzi si sdoppiò.
Aimorés, Brasile. È il 1998 quando Léila Deluiz Wanick, artista, autrice, produttrice e suo marito Sebastiao Salgado, fotografo di fama mondiale, piantano i primi alberi attorno alla desertificata Fazenda Bulcao, disboscata in passato sia dal padre dello stesso Salgado (per ricavarne legname e foraggio) che dall’incuria e dallo sfruttamento delle istituzioni locali nelle terre confinanti.
In collaborazione con la fondazione Insituto Terra, i due coniugi hanno impiantato ad oggi 3 milioni di esemplari in oltre 700 ettari di lande per decenni degradate e rinsecchite, come le colline del Verdon prima dell’eterno e paziente lavoro di Elzéard.
Le parole di Salgado: “Ho realizzato che esiste anche il dovere di fare qualcosa di bello, di mostrare a tutti l’incanto della natura” entrano in risonanza con il racconto di Giono: “[…] Si comprendeva come gli uomini potrebbero essere altrettanto efficaci di Dio in altri campi oltre alla distruzione.”
Elzéard Bouffier è morto serenamente nel 1947.
Sebastiao Salgado è morto serenamente nel 2025.
Léila Deluiz Wanick continua l’opera.
Invece io mi fermo qui. Il mio sentiero d’inchiostro su InEsergo si conclude oggi, poiché alcune pubblicazioni del nuovo redattore P. C. si scontrano irrimediabilmente coi miei valori.
Ringrazio profondamente InEsergo per avermi dato in questi sette anni la possibilità di curare la mia coscienza tramite la consuetudine della scrittura, di confrontarmi e crescere. E ringrazio te lettrice/lettore, mio specchio e volano.
Lascio le ultime parole a un altro personaggio creato da un altro grande vecchio che con Giono, Sebastiao e Léila sparge semi di consapevolezza e condivide temi e speranze: rapporto tra essere umano e natura, rifiuto della guerra e di ogni tipo di ideologia nazionalista, in questi ultimi anni sempre più pericolosamente e subdolamente mascherata da pensiero libero ed edificante. Da apologia a goliardia il passo non è mai breve, dopotutto “per fare un tavolo ci vuole un fiore” recita la filastrocca di Sergio Endrigo, il cui senso sta nel lavorio costante e quotidiano che piano piano trasforma, perché la rivoluzione più efficace è quella che parte da lontano e si realizza senza che te ne accorga. Nel migliore dei casi silenziosa e benefica, nel peggiore: strisciante, velenosa e divisiva… “La vita va dove va il tuo sguardo” (N. Fabi).
Il Grande Vecchio di cui sopra è Hayao Miyazaki, le parole sono di Marco Pagot, protagonista del lungometraggio d’animazione Porco Rosso (1992):
“Piuttosto che fascista meglio essere un maiale”