Sixto Rodriguez
La vita è di una durezza irritante, Bob lo sa bene.
Facciamo uno sforzo di immaginazione fingendo spudoratamente di essere un direttore della fotografia. Mettiamo un bel filtro giallo alla camera da presa e rendiamo l'ambiente caldo, pieno zeppo di un caldo soffocante, quello che non ti fa respirare, spostiamo il luogo della nostra storia al confine tra il Messico e gli Stati Uniti, dove per esempio un cretino voleva farci un muro e mettere chissà quanti cecchini per fermare tutta quella gente che riempita fino all'orlo di retorica sul sogno americano voleva andarsi a prendere un po' di quell'America che dopo averla sedotta la lascia al confine a marcire come un branco di stronzi. Perdonate la digressione, torniamo a Bob.
Bob ha imparato a suonare la chitarra da piccolo, quando ancora non aveva idea di cosa sarebbe diventato da grande, ma come molti ha dovuto abbandonare i sogni di gloria perché stavolta il muro non lo aveva messo qualche stronzo ma la realtà delle cose, e la realtà delle cose dice che anche se sei bravo non è comunque scritto da nessuna parte che sarai qualcuno. Allora Bob incide un paio di EP ma poi capisce che è giunto il momento di fare una scelta e dal caldo soffocante del confine si trasferisce a Detroit a costruire macchine, come hanno fatto molti nostri antenati e parenti che dalla Sicilia e dalla Calabria sono finiti alla Fiat, e chissà quanti sapevano anche suonare la chitarra ma hanno dovuto fare le persone "serie" loro malgrado rinunciando ai sogni di un palco e di un pubblico adorante.
Dicevamo di Bob. Adesso la lente del direttore della fotografia ha un filtro che tende al blu, spesso nevica, spesso le cinque di mattina è l'ora più infame del giorno, perché una volta alle cinque di mattina Bob andava a dormire dopo una serata movimentata e adesso invece deve alzarsi e andare a fare il turno in fabbrica.
Ma cosa sarebbe un racconto senza il fato, senza il destino che non si sa come (anzi lui lo sa, siamo noi che non abbiamo idea di che strade prenda) mette lo zampino nella vita del nostro Bob?
Infatti in Sudafrica, paese geograficamente e culturalmente lontano millenni dagli Stati Uniti, Bob inizia a diventare famoso, le radio lo passano, la gente lo adora, i ragazzi masterizzano proprio quei due EP che aveva registrato tempo prima, ma Bob mica lo sa, lui assembla carburatori e ha l'impressione di essere vestito sempre allo stesso modo sei giorni su sette, ormai la tuta blu è una seconda pelle e tutto sommato si sente fortunato perché la narrazione che ci hanno propinato è quella: se hai un lavoro sei fortunato e per il resto pazienza.
Un regista svedese, e dio solo sa cosa ci facesse in Sudafrica, inizia a incuriosirsi al fenomeno perché la gente spesso inventa delle storie e nei sobborghi come nei quartieri più prestigiosi si favoleggia di questo cantautore misterioso: alcuni dicono che sia deceduto sul palco, altri che si sia dato fuoco, altri che - banalmente lasciatemi dire - sia morto di overdose. Ma il regista non ci crede e decide di andare a cercare Bob, rastrellando informazioni qua e là, gira qualche intervista e dopo molte telefonate e molti aerei trova Bob che torna dal turno in fabbrica e non sa assolutamente come faccia a essere famoso in Sudafrica. La sua vita come nei migliori film natalizi americani cambia improvvisamente.
Gli organizzano un tour proprio in Sudafrica, Australia e Nuova Zelanda, lui arriva come arrivavano i nostri nonni alla stazione di Torino con due figlie e una chitarra. Non sa niente, sa solo le sue canzoni e sa che adesso probabilmente si vestirà in modo diverso sette giorni su sette: in cuor suo non è poco.
Il documentario del regista ha un discreto successo e adesso più o meno tutti sanno chi è Bob. Bob è diventato famoso quando non lo sapeva, adesso suona e vive di musica e poco importa se è diventato una rockstar alla soglia dei sessant’anni; in fondo chi nasce rockstar lo è per sempre, anche se il direttore della fotografia gli cambia i filtri e le ambientazioni. Credo che il segreto sia fregarsene di quello che fai e iniziare a pensare continuamente a quello che sei, perché spesso le due cose si confondono e per gli "altri" è più semplice descrivere chi sei confondendoti con quello che fai, fino a spersonalizzarti; è così che ti rendono scontato come un filtro giallo in un racconto ambientato al confine tra Messico e USA.
Questa storia è liberamente ispirata alla vita di Sixto Rodriguez, cantautore statunitense protagonista del documentario Searching for Sugarman del regista svedese Malik Bendjelloul, perché è vero che ti puoi inventare tutte le storie che vuoi ma l'assurdità di questa era difficile da immaginare e replicare e quando si racconta la storia di qualcun altro si può anche essere imprecisi. Io ho pensato che Sixto di imprecisione nella sua vita ne abbia avuta abbastanza.