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Le domande dei bambini - InEsergo

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11 Novembre 2025 - Attualità

Quella ricerca di senso che ci inquieta
 
Le domande dei bambini
 
A chi ha figli sarà certamente capitato di dover gestire la situazione in cui i bambini, dopo un momento di raccoglimento in cui sono assorti nei loro pensieri, se ne escono con le domande esistenziali più improbabili e disparate.
 
L’ultima che mi è stata rivolta è questa: qual è il primo colore che è apparso sulla terra? aggiungendo poi che probabilmente era il rosso, ma senza avere una minima idea di spiegazione. Provenendo la domanda da una bambina di 6 anni, in piena crescita “artistica”, le mie scarse doti di problem solving mi hanno fatto prontamente reagire in modo letterario. Leggiamo insieme la Bibbia così, vedendo come Dio ha creato il mondo, capiamo l’ordine dei colori. Tralascio lo spasso nel vedere la bambina che mimava i superpoteri di Dio e ripeteva a modo suo quanto ascoltava. Siamo alla fine giunti alla conclusione che il primo colore doveva essere l’azzurro/blu, in quanto Dio crea la terra al buio, e solo dopo aver “acceso” la luce con la celebre espressione “Fiat lux”, vedendo che la terra è coperta dalle acque, prima separa le acque dei mari da quelle delle nuvole creando quella distesa chiamata cielo, poi fa ritrarre le acque per far emergere il suolo. Quindi, secondo il nostro acutissimo ragionamento, Dio avrebbe fatto apparire prima l’azzurro/blu delle acque e del cielo, poi le tonalità del marrone della terra, poi il verde dell’erba e delle piante e poi, tra fiori e frutti, tutti gli altri colori. Incuriosito dal discorso vagamente surreale, ecco che interviene il figlio maschio di 10 anni, tipo pratico, ruvido pescatore nelle rogge del Naviglio, con pre-adoloscenza anticipata (almeno così dice la maestra), a troncare il discorso: il primo colore appare con la grande esplosione del Big Bang, quindi doveva essere il rosso, mia sorella ha ragione!
 
Insomma, al di là del grottesco, è gustoso vedere come ci si ingarbuglia nel dare risposte, le quali sono inevitabilmente il frutto del nostro portato culturale e della nostra cura nel farci capire. A livello di pedagogia cristiana, ad esempio, posso dire che i miei figli hanno attraversato chiaramente una fase in cui sono stati fortemente impressionati dalla morte di un giovane innocente. Come muore Gesù, la sua sofferenza fisica, chi lo uccide e perché, sono domande molto più urgenti del chi fosse Gesù. Poi arriva la fase del post mortem: come si fa a vedere da morti se abbiamo gli occhi chiusi, cos’è l’anima, come fa Gesù a non cadere giù visto che sta sopra le nuvole che però si scaricano in pioggia…
 
L’essere umano attraversa questa fase esistenzialista che a mio parere è ben più importante del Perché? reiterato ossessivamente su quanto ci mette a cuocere un uovo e che fine ha fatto il pulcino. Perché le domande sull’Universo, su Dio, sulla vita e sulla morte, corrispondono in realtà alla ricerca di senso, che è una specie di bisogno innato. Vogliamo sapere chi siamo, qual è il nostro posto, e per via di quale mistero siamo nati. Ma inevitabilmente ci troviamo frustrati da mille tentativi che non soddisfano, tirati per la giacca e i capelli da mille tentacoli che fabbricano soluzioni, obiettivi, realizzazioni. Leve motivazionali che sono già il frutto di coazioni programmate da determinismi ideologici (di cui quello religioso è il più innocuo) che silenziosamente agiscono sul profondo substrato della paura. Perché il nostro cervello, nella sua parte più antica, si affaccia al mondo già strutturato per l’automazione fuga-attacco, e con essa si palesa la consapevolezza, che definirei prepolitica, che da soli non ce la possiamo fare.
 
È proprio per rispondere alla necessità della sicurezza che nascono le comunità, che poi diventano società, in cui l’uomo pensa di risolvere i suoi dubbi e le sue paure accettando un ruolo che in qualche misura, anche minima, lo gratifica e lo fa sentire accettato in cambio di obbedienza, conformismo, resilienza. E per certi versi fa impressione constatare che i tarli del potere, dell’accumulo, della bellezza esteriore, della forza, non siano che sublimazioni parossistiche della fragilità iniziale, vera condizione da cui si cerca di fuggire erigendo mura impenetrabili, fossati coi coccodrilli, volute di filo spinato, attorno alla nostra coscienza e alla nostra emotività. Quella stessa fragilità che ci aspetta al momento del trapasso per dirci, sconsolata, che alla fine non poteva andare che così.
 
In virtù di questa dinamica si spiega tutta la storia del pensiero umano, tanto immanente quanto trascendente, solo declinata con variabili molto diverse. Il fondamentalismo, il nichilismo, il collettivismo, l’individualismo, la gnosi, la tecnica, l’esoterismo: sono tutti tentativi di rispondere alla domanda essenziale sul che cosa ci facciamo qui, proprio adesso e proprio qui.
 
Da dove vieni non esiste più, dove pensavi di andare non è mai esistito, e dove sei non vale nulla a meno che tu non riesca a fuggirne… Dentro di te, proprio adesso, c’è tutto il posto che hai: è la citazione di Flannery O’Connor che compare nel biopic Springsteen – Liberami dal nulla, pronunciata al cantante da Jon Landau, il suo storico manager, per tirarlo fuori dalla pericolosa deriva della depressione. Era il 1981, e non sorprende che lo stesso cantante, 4 anni prima, in Badlands cantasse: voglio sapere che cosa è mio. E sottolineo con forza che non sorprende, perché ci mettiamo nei guai proprio quando smettiamo di chiederci chi siamo, per chiederci cosa possediamo. Va da sé che purtroppo è tipico che in una società dominata dal culto del profitto e della competizione si tenda a far coincidere l’identità col possesso. E questo è il più grave dei mali in cui viviamo, in cui si è patologizzata la nostra civiltà. Credo che il risveglio del senso religioso, in particolare cristiano (non dico cattolico in senso particolare, ma cristiano in senso universale), che tutte le statistiche segnalano, ma che il mainstream giornalistico continua a ignorare, abbia a che fare con la condizione che ho provato a descrivere, senza formule magiche, ma per stimolare approfondimenti.


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