La libertà ha i tuoi occhi - InEsergo

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28 Novembre 2021 - Libri

Ronald Balson tra storia, presente ed eternità

La libertà ha i tuoi occhi
  
Non iniziò con le camere a gas. Non iniziò con i forni crematori. Non iniziò con i campi di concentramento e di sterminio. Iniziò con i politici che dividevano le persone tra “noi” e “loro”. Iniziò con i discorsi di odio e di intolleranza. Iniziò quando la gente smise di preoccuparsene, quando divenne insensibile, obbediente e cieca, con la convinzione che tutto questo fosse “normale”.
Primo Levi

La vicenda dell’avvocato americano Ronald Balson sa molto di favola a stelle e strisce. Divenuto nel 2013 l’emblema della caparbietà letteraria con l’esordio autoprodotto Volevo solo averti accanto (best seller su scala planetaria, rifiutato in prima battuta da una pletora di editori), nel 2016 scrive uno struggente romanzo sulla forza vitale e la più estrema disperazione ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. In Italia il suo nuovo lavoro esce nel 2019 con il titolo La libertà ha i tuoi occhi per i tipi di Garzanti e mostra in copertina una bella ragazza ritta e fiera intenta a scrutare l’orizzonte con la stella di David appuntata sul braccio destro.

Lena e Karolina sono due amiche fraterne, si conoscono da una vita. Da quando la situazione è precipitata a Chrzanów, con l’occupazione delle truppe naziste, Lena sopravvive nel ghetto come schiava in una fabbrica tessile tra atrocità e stenti mentre Karolina intraprende una pericolosa liaison con un ufficiale tedesco da cui nasceranno due gemelle. Le bambine sono la speranza nel futuro e prendersene cura, nutrendo i loro sorrisi, è ciò che motiva le ragazze a resistere al precipitare della situazione. Fino all’epilogo finale, il trasferimento ad Auschwitz, con il quale i nazisti incalzano gli ultimi rimasti promettendo loro lavoro e occasioni di svago per i più piccoli. L’unico gesto possibile, immane e inumano, sarà per le ragazze gettare i due fagottini dal finestrino del treno durante il viaggio di deportazione, nell’estremo tentativo di dare loro una sola, residuale speranza di vita.

Lena oggi ha varcato la soglia degli ottanta, riuscì a fuggire da Auschwitz durante una delle famigerate “marce della morte” tedesche. Karolina invece non ce l’ha fatta, non è riuscita a sostenere tanto dolore. Lena avverte che è giunto il momento di rivolgersi all’avvocato Catherine Lockhart e all’investigatore Liam Taggart per cercare le bimbe. Lo deve all’amica di una vita ma anche a se stessa, dopo aver chiuso l’Olocausto in un canto della mente senza più riuscire ad accedervi. La richiesta sembra di quasi impossibile soddisfacimento, sono passati troppi anni anche per un investigatore acuto e preparato come Liam. In più il racconto di Lena pare a volte incepparsi, come se alcune parti fossero volutamente tenute nascoste. Anche il figlio, piccato, si mette di traverso, convinto che la madre stia declinando la storia delle due sorelle come un refrain uscito male, frutto di un delirio senile, e che i due professionisti stiano solo cavalcando l’onda.

Ci sono tre filoni narrativi in questo capolavoro di Ronald Balson. Il primo, quello principale, trae spunto da Fay Scharf Waldman, sopravvissuta ad Auschwitz e consenziente alla pubblicazione della sua vicenda, minimamente romanzata; il secondo, che concerne il vincolo di segretezza tra un avvocato e il suo cliente, anche a costo, per il primo, di finire in galera; il terzo è la storia di un detective a spasso per la Polonia moderna, come un segugio che annusa le ombre del passato in cerca di due gemelle fantasma.

Lo stile di Balson è asciutto e mai ridondante. La sua capacità di plasmare scenari tratteggiando sensazioni stranianti e tempi remoti appare fuori dal comune: nessuna compiacenza stilistica, ogni scelta lessicale è in funzione della storia e null’altro. Il ritmo narrativo è serrato e avvolgente, ghermisce il lettore sin dalle prime pagine senza lasciarlo più andare via. Condivisibile la scelta di palleggiare la narrazione tra passato e presente per farci identificare con l’emotività dell’avvocato Lockhart, il cui senso di orrore e inquietudine nel ripercorrere l’immonda pagina dell’Olocausto non può che essere il nostro. Il finale a sorpresa, che qui ovviamente non intendiamo svelare, sarà il coup de theatre della vittoria del bene sul male, dell’apogeo della grazia di Dio che discende su chi ha saputo scagliare il proprio cuore dentro il baratro trovando il modo di riportarlo a sé.

A fine libro, in un tumulto di impressioni contrapposte, il lettore si riproporrà la domanda delle domande: “com’è stato possibile?”. A tale interrogativo, è risaputo, la risposta si fa attendere da circa ottant’anni. Il libro ne rinfocola la portata, il peso specifico che grava sulle generazioni succedute a quegli uomini e donne che hanno combattuto per la libertà e anche ai tanti criminali dimostratisi pronti a ogni aberrazione pur di piegare il mondo a un’ideale distopico e antiumano. Qualcosa, però, l’abbiamo compresa. L’inferno non sopraggiunge mai da un giorno all’altro, bensì percorrendo una china discendente sotto le spinte della propaganda e delle falsità ammantate di assoluto, per aggirare a poco a poco le normali strutture di governo, ponendone altre, del tutto in antitesi e ammantate di mendace normalità. Le parole di Primo Levi poste in esergo dovrebbero suonare come un monito imperituro per chiunque, ora e sempre. La storia, nel suo fluire ciclico, ritorna senza mai utilizzare il medesimo strumentario. Per questo spesso ci si inganna, non riuscendo a rintracciare analogie con il passato. Occorre fare attenzione, perché a forza di fissare il dito invece che mirare la luna si rischia di non accorgersi neppure di un’eclissi incipiente.

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