17 Ottobre 2021 - Storie
Dialogo immaginario tra un nonno e un nipote nel tempo dell'emergenza infinita
Iniziò con la paura
“Iniziò con la paura”. Nonno Alfredo sembrava diverso quel pomeriggio. Sprofondato nella poltrona di casa, la schiena poggiata sul morbido feltro, frugava la stanza con gli occhi come in cerca di un particolare inaspettato. Alfredo Corinzi era un uomo tenace, anche se corrugato dagli anni.
“Cosa intendi nonno? Tutti abbiamo paura di qualcosa, è normale”. Giuseppe era fatto così. Lo chiamavano Beppino quasi fosse il titolare di una rinomata trattoria dell’entroterra. Nativo digitale, signore incontrastato della domotica, possedeva sempre la risposta a ogni quesito, una spada di luce con cui fendere l’oscurità.
“La paura della morte ragazzo. Tu non la conosci, la paura della morte è la falce più inclemente a cui l’essere umano può sottostare. È il portale della dimensione ultima, la nera voragine in cui la logica affoga senza rimedio”.
Ci risiamo, ecchepalle. Beppino non lo capiva proprio suo nonno, provava quasi sempre la sensazione di trovarsi di fronte a un essere indecifrabile, una sorta di alieno piovutogli nel salotto da chissà quale galassia.
“Nonno, tutti dobbiamo morire prima o poi. Che senso ha la paura della morte? Magari quando proprio ti rendi conto che stai per raggiungere il Creatore, ma per il resto uno a morire mica ci pensa!”.
“Eppure andò così. Usarono la paura della morte per cambiare. Fecero in modo di chiudere il chakra del cuore delle persone, spostarono il centro nella mente ma la mente per sua natura non sente e quando si cristallizza nel terrore diviene anche incapace di pensare: la mente così asservita si limita solo a inseguire la voce più grossa”.
“Nonno non ti seguo, chi usò la paura? Mi sembri uno di quegli strani individui di cui ho letto su Internet, i “complottisti”. Non è che sei uno di loro vero?”. In realtà Beppino paventava l’ipotesi che il rubicondo vecchietto di casa stesse rincoglionendo in diretta, ma per pudore e quel minimo di rispetto dell’anziana effigie evitò di spingersi tanto avanti.
Il mondo sembrava essersi fermato. Lo sguardo dell’anziano signore si fece greve e severo come un martello prima di conficcare il chiodo. Il ragazzetto si immobilizzò, gli cambiò il respiro al punto da andare a conficcarsi nella parte alta del torace.
“Loro usarono la paura”.
Beppino non capiva. Gli sembrava di ascoltare lo sciorinamento del plot di un fantasy ma rimase in silenzio, affascinato e quasi divertito.
“Ci fu un’epidemia, il seguito di un virus già visto anni prima. Sai che novità! Io non so bene cosa ti insegnino a scuola Beppì, ma solo nell’Ottocento ci furono sette pandemie di colera con seicentomila morti qui da noi in Italia: ci lasciò le penne anche un certo Leopardi, lo conosci?”.
Giuseppe Corinzi fece per rispondere, ma non ne ebbe il tempo.
“Eppure ci furono i moti risorgimentali, le tre guerre di indipendenza, la primavera dei popoli, la nascita del socialismo, Giuseppe Mazzini e il mazzinianesimo. Ma anche nel Novecento le cose non andarono molto diversamente: sai quanti morti fece la Spagnola? Quasi cento milioni! E poi l’Asiatica, e poi la Hong Kong: ma c’erano la guerra in Vietnam, le proteste studentesche, l’uomo sulla luna. Pure l’emancipazione femminile e la rivoluzione sessuale, per la miseria!”.
“Nonno, aspetta” bofonchiò con timidezza Peppino. “Mi stai dicendo che con quelle catastrofi la vita andò avanti così, come se nulla fosse?”.
“Si confinavano i malati e i fragili, non tutti indiscriminatamente. Ma scherzi? Non si poteva mica fermare il mondo. La vita doveva andare avanti, la storia fare il suo corso. Quand’ero bambino io se ci si ammalava di qualche malattia contagiosa tipo varicella o morbillo i bambini venivano spediti a casa dell’untore per farsi gli anticorpi. So che ti sembrerà preistoria ma funzionava così”.
“Mi sembra folle nonno”.
“Ah non lo metto in dubbio. Mica esisteva il concetto dell’uomo da tenere sotto teca, il terapeuticamente corretto, il dissenso schiacciato e marginalizzato nel nome della salute pubblica. Capisco che tu non ci capisca nulla”. Disse proprio così, concedendosi un piccolo gioco di parole.
“Poi venne la Covid” – riprese concitatamente – “e mentre la gente era impegnata a non morire cambiarono le nostre abitudini, parcellizzarono la collettività, ci abituarono a temere l’aria, il contatto, la vicinanza del prossimo, a prendercela con chiunque non si attenesse ai nuovi standard di sicurezza, invitandoci a obbedire supinamente e acriticamente”.
Il ragazzo scrollò la testa. Il discorso in un certo senso filava ma la spiegazione in fondo era più semplice. “Nonno, ma è normale. Arriva un virus nuovo, sconosciuto, che fa tanti morti, ovvio che ci sia confusione, paura, prudenza. Cosa avrebbe dovuto fare la gente? Andare in giro a starnutirsi in faccia?”.
“Non capisci Beppì. Fecero della scienza una religione. La gente ripeteva spesso io credo nella scienza nella stessa maniera di come si sarebbe potuto dire io credo in Amon-Ra o in Yahweh. La fede è una gran cosa ma la scienza è dubbio, confronto, scontro e ricalcolo. Non pensiero unico. Ciò che il nuovo scientismo diceva, la gente faceva, senza farsi domande. Un’occasione imperdibile per infiltrare l’emergenza di interessi sporchi, per offrire la soluzione ideale al problema da loro stessi creato”.
“Nonno tu vedi fantasmi dappertutto! Comunque come andò a finire?”.
“Proseguì eludendo a poco a poco diritti e Costituzione. Troppo ingombrante e troppo garantista una democrazia come la nostra. Ma lo fecero con il principio della rana bollita. Lo conosci?”.
“No”.
“Una rana immersa nell’acqua tiepida ci sta bene, ci si crogiola, senza accorgersi che l’acqua si fa sempre più calda. Quando ormai l’acqua è bollente la rana non ha più la forza di saltare via e muore. Semplice no?”.
“Carina questa. E vorresti farmi credere che bollirono sessanta milioni di italiani?”.
“Andò così. Ma a poco a poco, in modo da spacchettare il dissenso. Mica adottarono sin dal principio una misura uguale per tutti: in un’emergenza sanitaria si sarebbe dovuto fare così, no? E invece prima si occuparono di una categoria, poi di un’altra, poi di un’altra ancora. Fino a prenderci tutti”.
Beppino si fermò a riflettere, gli sembrò di cogliere qualcosa di famigliare. In fondo nei videogiochi di strategia anche lui faceva così: una tappa alla volta, una roccaforte alla volta, e il nemico cadeva. Ma cosa intendeva esattamente il nonno con quel prenderci? Suonava sinistro e lo sembrava davvero.
“Ci presero quando riuscirono a trasformare alcuni diritti che ritenevamo inalienabili in elargizioni a patto che. Ci affibbiarono un codice a barre, con una data di scadenza. Per rinnovarlo dovevamo fare quello che di volta in volta il potere riteneva necessario, a sua discrezione. Chi si rifiutava veniva estromesso dalla vita sociale e condannato all’oblio, a meno di non ritornare presto nei confortevoli ranghi. Era un potere nuovo, che agiva a livello interiore, emotivo e oserei dire spirituale, con modalità differenti da quelle di qualsiasi regime precedente. Gli obbedienti rimanevano tali solo se scodinzolavano a ogni nuova norma, oppure se dissentivano su commissione per garantire l’illusione che rispetto al passato non fosse cambiato nulla”.
“Aspetta nonno, la gente viveva tutto questo senza fiatare?”.
“La maggioranza sì, perché si sentiva parte di un disegno salvifico volto al proprio bene. Ci credeva, come poteva essere altrimenti? Chi protestava, chi criticava, chi adduceva possibili letture alternative veniva automaticamente demonizzato, irriso e attaccato con ogni mezzo, proporzionalmente al grado di influenza. Era considerato un egoista, o peggio ancora un cinico indolente, e la folla se lo sbranava. La folla, la gente comune, che voleva solo tornare alla normalità e per farlo era disposta a tutto”.
Giuseppe Corinzi, in arte Beppino, non sapeva più cosa dire. Il racconto del nonno filava eppure continuava a sembrargli sconclusionato e assurdo. Usare un pretesto per cambiare il mondo! Non sarebbe stato meglio dichiarare subito gli intenti, magari con una scusa? Che senso avrebbe avuto un progetto tanto subdolo? E davvero potevano esserci governanti in grado di sostenere pubblicamente una cosa e poi fare l’esatto opposto?
“Nonno va bene, il finale me lo racconterai un’altra volta. Ora riposati che mi sembri stanco. Io ti credo ma ‘sta storia sui libri mica l’ho mai letta. Mah”.
Alfredo Corinzi portò gli occhi alla finestra, come per sondare il cielo in cerca di un segno. Gli anni lo sopravanzavano ma il cuore era quello di sempre, forte, regolare. “Questa storia sta accadendo adesso Beppì, ma tu nemmeno te ne accorgi”.
“Ma hai usato il passato per tutto il tempo nonno!”.
“Perché il futuro lo stiamo scrivendo entrambi. Qui. Ora.”