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Il clown e il monaco - InEsergo

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23 Ottobre 2025 - Storie

Appunti di sopravvivenza spirituale tra feste per bambini, cocaina e supereroi psicotici

Il clown e il monaco
  
C’era questo monaco tibetano che ha meditato per anni, proprio sulla sponda di un fiume, e ogni anno si consumava sempre di più: freddo, gelo, intemperie, una volta il fiume ha esondato e lo ha trascinato via per molti chilometri, ma lui niente, ha continuato a meditare.  Lo hanno ritrovato pieno di fango e ferite, ma non aveva smesso di meditare, forse giusto il tempo di salvarsi la vita, non che fosse una cosa particolarmente difficile per lui, evidentemente.
 
C’era un abitante del suo villaggio, era famoso per essere cinico e ludopatico, aveva scommesso con tutti che in realtà il monaco fosse morto da anni e invece, quando il cinico ludopatico morì per primo, il monaco fece un breve cenno, quasi un sorriso. Erano passati molti anni da quando aveva iniziato a meditare, fu una breve soddisfazione, ma a volte sono le piccole cose che ti fanno raggiungere una sorta di illuminazione divina.
 
Questa storiella di solito funziona, ma oggi non ha funzionato granché; forse raccontarla al compleanno di un bambino di otto anni non è stata proprio una grande idea, alla fine però mi sono ripreso abbastanza bene: ho gonfiato due palloncini, ho fatto la giraffa, il cane, due giochi di prestigio. Ho guardato pure nella scollatura della madre, sembrava non dispiacerle molto, il marito aveva una camicia a maniche corte bianca e una cravatta con Bugs Bunny; direi che il fatto che qualcuno sbirci nella scollatura della moglie è il minimo che gli possa capitare.
 
Mi chiamo B. Faccio il clown alle feste, è una vita grama, ma ho un pollo di gomma e a casa ho un gatto che mi odia: fa la cacca sempre fuori dalla lettiera e miagola soltanto quando io dormo; è una vita difficile, per questo faccio il clown, veder ridere la gente mi mette pace. Purtroppo, non sono nemmeno bravissimo a fare il clown, so soltanto fare i palloncini a forma di cane e di giraffa e qualche gioco di prestigio, guardare nelle scollature di solito è un extra.
 
Una vita fa ero un discreto musicista, suonavo l’arpa in un’orchestra, tra l’altro l’orchestra era anche piuttosto famosa, ma c’è sempre meno tempo e voglia per i concerti sinfonici, la gente ha un grado di attenzione molto basso e nessuno ci ha più ritenuto utili; così il maestro è finito a spacciare crack nei bassifondi, il primo violino si è reinventato come gigolò e credo che il tipo che suonava la grancassa adesso gestisca un fight club, pare con discreto successo, perché lo spacciatore da cui compro l’erba ne parla spesso. Ma suonare l’arpa non ti apre molte porte, non puoi suonare nei night club, nei club scambisti, non puoi fare l’artista di strada e adesso la mia arpa sta lì in un angolo a prendere polvere, è un monumento ai miei errori, e se la guardo proprio bene bene c’è inciso a fuoco un insulto greve e pesante di mio padre che voleva che facessi il geometra e Dio, se aveva ragione!
 
Una sera stavo bevendo una birra nel locale in cui vado sempre, puntavo una bella ragazza, ho provato tre volte ad alzarmi per andare da lei a presentarmi, ma poi niente, c’erano sempre due, tre cose che non mi convincevano, tipo che lei era troppo carina, che io avevo un brufolo, che lei non mi avrebbe degnato di uno sguardo, che io bofonchio mentre parlo, che lei come minimo aveva una vita meno squallida della mia (cosa molto semplice), che io non sono bravo a raccontare storie divertenti e so fare soltanto il cane e la giraffa con i palloncini.
 
L’idea più brillante della serata è stata quella di bere una birra e poi un whisky e poi una birra e un whisky e poi di nuovo, fino a quando ogni idea di miglioramento era annegata nella nebbia, subito prima di perdere conoscenza.
 
Tra i modi più di merda di essere svegliati sicuramente il suono del telefono è quello che preferisco di meno. Ho risposto con un «Pronto?!» che i meno attenti avrebbero potuto molto facilmente scambiare per un rutto; dall’altro capo del telefono una voce molto piena di entusiasmo disse: «Ciao! Sono Javier, non mi conosci, ho avuto il tuo numero dal mio amico Carlos».  
 
Carlos con molta probabilità era il tipo con la camicia a maniche corte, la cravatta di Bugs Bunny, il figlio grasso e la moglie con quelle tette enormi. Non avrei mai osato pensare che si chiamasse Carlos, aveva più la faccia da Herbert. La vita sa essere piena di sorprese.
 
Javier mi dice che ha una richiesta particolare per me, ma per quanto strana sarà molto ben pagata. Le parole “ben pagata” sono sempre carine da sentire, anche perché mangiare questa settimana è al primo posto nella lista delle cose da fare. Javier dice che possiamo vederci nella suite dell’Empire, e mi spiegherà tutto.
 
In metrò c’era un tizio con una radiolina e cantava urlando.
 
Javier sembra uscito da un incidente tra American Psycho e The Wolf of Wall Street; insieme a lui ci sono alcuni suoi amici, molto giovani, molto ricchi, strapieni di cose che fanno sembrare ricchi, e pieni di cocaina.
 
Ah, la gioventù. Ah, il capitalismo.
 
Mi spiegano brevemente che un loro amico si sposa domani e che ha paura dei clown, in particolare di uno, il Joker, e che vogliono fargli uno scherzo, farlo letteralmente cagare sotto e causargli un mezzo infarto e poi farsi perdonare con prostitute e cocaina.
 
Accetto, e per festeggiare si drogano, loro non offrono. Ah, la gioventù. Ah, il capitalismo.
 
La serata va bene, mi fanno vestire come il personaggio, una ragazza bellissima viene a truccarmi, le ho chiesto il nome ma non me lo ha detto, ha continuato a masticare il suo chewing gum e a truccarmi in silenzio. Ma che gli faccio alle donne?!
 
Lo scherzo è andato bene, il loro amico ha rischiato l’infarto ma poi si è ripreso. Javier e i ragazzi hanno proprio avuto una bella serata: c’erano ballerine, prostitute, prostitute che sapevano ballare e ballerine che sapevano anche fare le prostitute, è bello saper fare di tutto.
 
Le cose però hanno avuto un brusco peggioramento, qualcuno è stato male e Javier in maniera decisa mi ha messo in mano una busta piena di soldi e mi ha detto che, se non sapevo praticare la rianimazione, era meglio che andassi via.
 
Mi ritrovo sulla strada principale vestito da Joker e non so esattamente come tornare a casa perché droga non me ne hanno offerta, ma roba da bere sì. Non ho mai festeggiato Capodanno, ma credo che ci si debba sentire così.
 
Prendo la metro, è stata una bella serata, i neon sfarfallano, in metro non c’è quasi nessuno, giusto due signore che stanno tornando a casa, sicuramente gli starò mettendo paura, ho provato a sorridere ma mi sa che ho peggiorato la situazione: hanno cambiato carrozza.
 
Mancano poche fermate a casa; è notte fonda, non ho mai fatto così tardi. Sono sempre stato uno che usciva poco, poco interessante la vita degli arpisti, meno ancora quella dei clown che sanno fare veramente poche cose da clown.
 
I neon sfarfallano ed ecco che succede la cosa più strana di tutta la mia vita, si aprono le porte della metro e sale Batman o, meglio, un tizio travestito da Batman, come io sono un tizio travestito da Joker.
 
A raccontarlo non ci si crede, io e Batman ci guardiamo: gli sorrido, ma peggioro la situazione. Il sorriso di Joker non è esattamente famoso per trasmettere serenità.
 
Ma il peggio doveva ancora venire: quello lì non era un tizio travestito da Batman, era uno convinto di essere Batman, che non sorride, non fa alcun cenno di intesa come a dire «strana la vita, bro», anzi, inizia a picchiarmi, a picchiarmi forte, a picchiarmi come se io fossi il Joker e lui fosse veramente Batman.
 
Continua picchiarmi come se tutti i traumi che lo hanno portato a travestirsi da Batman credendo di essere Batman siano colpa mia.
 
In ospedale si mangia tre volte al giorno: e chi se lo aspettava! Chissà come sta il gatto, sicuro non gli manco. Alla fine, mi hanno trovato a molte fermate da casa mia, con una commozione cerebrale e quasi morto. Il tizio travestito da Batman è stato arrestato e adesso chissà dov’è.
 
Anche Javier e i suoi amici sono stati arrestati, una ballerina che si prostituiva o una prostituta che ballava purtroppo per loro li ha denunciati e adesso sono tutti in galera a piangere e a provare a ballare o a prostituirsi.
 In quanto a me in ospedale non sto male, ho una storia da raccontare e in fondo adesso so come si sente il monaco che è stato travolto dal fiume, mi sento dolorante, ma in qualche modo in pace, non serve essere felici, basta essere contenti, per più tempo possibile.  
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