I giovani sono obsoleti - InEsergo

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13 Febbraio 2021 - Attualità

Il declino antropologico della gioventù ribelle e antisistema
 
I giovani sono obsoleti
 
“Ci si mette del tempo a diventare giovani”
Pablo Picasso

“Un giovane senza entusiasmo è come un vecchio senza esperienza”
Carl Zuckmayer

“E se i giovani fossero tutti fessi? Può capitare ogni tanto una generazione di fessi”
Marcello Marchesi

Uno studio appena pubblicato su JAMA Pediatrics, prestigiosa rivista scientifica americana, ci ha rivelato che un adolescente su quattro soffre dei sintomi clinici della depressione e uno su cinque di ansia: un fenomeno acclarato in tutto il mondo, con un’incidenza della fenomenologia raddoppiata rispetto al periodo pre-pandemico. Il Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, altra stimata pubblicazione medicale, giunge alle medesime conclusioni. Che lockdown, didattica a distanza e distanziamento sociale avrebbero avuto ripercussioni devastanti sulla psiche dei giovani era noto, perlomeno per i tipi di Psichiatry Research (rivista internazionale specializzata) già nel settembre del 2020. Insomma, le evidenze scientifiche non mancano malgrado le contingenze sociali (non sanitarie) siano sostanzialmente inedite. Non solo. È ben noto che il manifestarsi in età scolare di disturbi psicologici generalmente poco invalsi tra giovani e giovanissimi si traduca in gravi e quasi irreparabili danni in età adulta. Ma tant’è.

Non fidarti di nessuno che abbia più di 30 anni. Dove sono finiti i giovani? Che fine hanno fatto? Basta incrociare uno scuolabus, girare per strada: sono sedati, persi nel vuoto, distanziati il giusto, impalpabili. Affogati in una maschera. Si sono adattati in fretta. Un vecchio adagio d’altra parte recita che “a questo mondo, o ti adatti, o ti arrabbi, o ti disperi”. Eccola, allora, la nuova meglio gioventù, anestetizzata dal suo metaverso, in un mondo disinfettato e rassicurante, lontano dal respiro di prima, dal sudore di prima, dagli assembramenti di prima. Contemporaneo, che parola opportuna cantava Ivano Fossati quasi vent’anni fa. Il terreno era fertile, si trattava solo di fare ancora un piccolo sforzo, di permeare di paranoia ogni angolo del vivere.

“Sogni d’oro, imbecilli!” gridava Il Giovane Holden fuggendo dal college. Giovani e ribellione, certo, verso il sistema, il potere costituito, il pensiero dei grandi, dei sepolcri imbiancati, dei baroni incartapecoriti. Ribellione e basta, per puro piacere, per essere contro, ma mica con criterio, mica con senso critico. Per essere vecchi e saggi, bisogna prima essere giovani e folli. Ma che fine hanno fatto le rivolte? Affogate nel “sacco a pelo a numero chiuso” dell’occupazione del Liceo Manzoni a Milano? Gestite con l’autotracciamento? È il trionfo del politically correct, della pace multicolore, del gretinismo, del progressismo sardiniano. Mai come oggi buoni e cattivi sono stati distinguibilissimi e i cattivi sono quasi sempre complottisti, scarsamente altruisti, ricalcitranti al fideismo scientifico. Come può un giovane oggi votarsi all’escrezione sociale, all’emarginazione da QR Code, disturbare la quiete pubblica, contrastare i probi funzionari del Ministero della Verità? Non fa più per lui il vomito dei respinti di deandreiana memoria. Meglio la classe con le finestre aperte d’inverno, anche se è folle, ma è la norma, darsi alla dissonanza cognitiva, incistarsi in un banco da cui muoversi solo lecitamente, magari prenotandosi con una app, con educazione, dopo aver sanificato le mani, cambiato la mascherina, rigettato la matita del compagno di rima buccale.
 
Faccio quello che mi dite di fare, basta che non mi rompete il cazzo. Accogliamo il mantra della nuova normalità giovane, lo slogan degli “snowflakes”, fiocchi di neve anodini e dimessi, ipersensibili e patologicamente empatici, troppo flautati per affrontare opinioni contrarie e troppo insignificanti per maturarne di proprie. Non stupiscano allora gli scoppi di violenza repressa, i raid vandalici, le risse, il deflagrare della baby gang: empiti di vitalità repressa e male incanalata, stuprata dal senso di colpa, dalla solitudine artificiale, dalle cacofoniche polifonie del nuovo smartphone acquistato a rate. Sull’altra riva del fiume stanno ansia e depressione, appunto, con slanci spontanei nei territori dell’autolesionismo non suicidario e della guerra con il cibo. Giovani che non escono più di casa, con la testa a “mille pensieri”, tra un video porno su Tik Tok e qualche flatulenza dell’ultimo influencer di Instagram.  Eppure, questi giovani dovranno trovare la forza, spintonare per accaparrarsi il nuovo lasciapassare, il passaporto verde per non essere i reietti della società che li affama, prostrandosi davanti al potere dei nuovi Profeti adoranti tecnoschiavitù e controllo. Se avranno fatto i bravi, scodinzolando a dovere, non ci saranno problemi. Qualcuno già sobilla di pass eterni, come amuleti, come ricompensa definitiva per i comportamenti virtuosi. Welcome to the Machine cantavano quei boomer dei Pink Floyd. Ed era il 1975.

Dunque, che fine hanno fatto i giovani? Cosa resta del loro mondo a parte le tempeste ormonali sempre più precoci, il rossetto a sette anni, la sessualità fluida e non discriminante? Ma soprattutto: chi ha sbagliato cosa? Ammesso che di sbagliato ci sia davvero qualcosa. A ben vedere invece tutto risulta perfettamente coerente: che noi scoglionati di mezza età non facciamo finta di non sapere. Quando abbiamo cominciato a delegare alla televisione, ci siamo stufati di discutere, non siamo più andati in piazza, abbiamo estirpato la cultura dal cervello scaccolandocela su Wikipedia, credendo che le istituzioni operassero sempre per il nostro bene, smettendo di dubitare, criticare, dissentire, abbiamo accettato che il giornalismo si trasformasse nel cane da riporto del potere, rinunciato a leggere, cominciato a twittare una mendace saccenza universale, aggredendo invece di capire, lasciandoci imbruttire dalla televisione spazzatura, abbiamo convertito la scuola in psico-penitenziario, ci siamo consegnati alla mitopoiesi senza distinguere il loglio dal grano, perdendo progressivamente i contatti con la realtà, consegnando uno schermo multicolore a nostro figlio perché la smettesse di sfiancarci i nervi già stremati, ci siamo adeguati alla mediocrazia, alle farfalline inguinali, alla retorica del potere, e abbiamo fatto tutto questo perché era più semplice e più conveniente, cosa mai avremmo pensato di ottenere?

E allora, per favore, smettiamola di prendercela con i nativi digitali perché non hanno la schiena dritta o non vogliono più cambiare il mondo. Proprio noi, che ci siamo prestati per primi in qualità di co-artefici e comprimari all’abnorme opera di ingegneria sociale che ha narcotizzato il Creato. Ci ha fatto comodo. Adesso è tardi per puntare il dito sul Grande Reset di turno, tanto non ci crederà nessuno. Perfino “i poteri economici sovranazionali che tendono a imporsi, aggirando il processo democratico” non sono tali se in tv non cielo dicono, anche se è il Presidente della Repubblica rieletto ad ammetterlo in Parlamento, candidamente, tra gli applausi scroscianti. Meglio liberarsi internamente, espellendo le scorie di una società in cui molti hanno comprensibilmente cessato di riconoscersi. Ai giovani offriamo una speranza, un atto di amore e comprensione. Non insegnate ai bambini, non insegnate la vostra morale chiosava Giorgio Gaber nel suo ultimo disco. Era il 2003 e pensate: per giocare a pallone non serviva ancora il lasciapassare.


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