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Gli Accordi di Helsinki 50 anni dopo - InEsergo

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Gli Accordi di Helsinki 50 anni dopo
 
Forse, traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni, ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri […] inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra, ritornata alla forma di nebulosa, errerà nei cieli privi di parassiti e di malattie
Italo Svevo, “La coscienza di Zeno”
 
 
Il 1° agosto scorso, la firma sui cosiddetti Accordi di Helsinki, stipulati l’01/08/1975 a seguito della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, ha compiuto 50 anni. A parte qualche sporadico articolo in rete, non mi pare sia stato dato grande risalto alla ricorrenza. Ci si è soffermato un minimo il giornale on-line di Città del Vaticano, Vatican News, visto che papa Leone XIV è intervenuto con un messaggio formale in occasione del convegno Helsinki +50 organizzato dalla Finlandia il 31 luglio nella sua Capitale per riflettere sull’eredità di quegli storici accordi che, si ricorderà, sono stati prodromici alla nascita dell’OSCE (la cui presidenza di turno è ricoperta in questo 2025 proprio dalla Finlandia).
 
Ci pare valga la pena riflettere, quantomeno per lo spazio di un articolo, sul contenuto e gli effetti concreti che quel documento, firmato all’epoca da 35 paesi, ha avuto sulla vita dell’Europa e del Mondo, nonché su cosa sia rimasto oggi di quello ‘spirito’.
 
Intanto salta agli occhi un elemento: che i dieci principi facenti parte del c.d. “Decalogo”, contenuto nell’atto finale della Conferenza (e che qui non specificheremo: sono consultabili rapidamente on-line), basterebbero in se stessi a implementare un mondo di e in pace, senza guerre e sopraffazioni e con un livello pressoché massimale di democraticità interna ai singoli stati. Il che ci porta alla seconda considerazione: la realizzazione di tali principi sono (stati) un’utopia. Anche per la loro natura non vincolante e priva, per i Paesi firmatari, di elementi sanzionatori in caso di non ottemperanza.
 
Attenzione, non che Helsinki sia stata inutile. Tutt’altro: il fatto di far sedere allo stesso tavolo i due blocchi contrapposti della Guerra Fredda fu un segnale fondamentale e un passo decisivo verso la distensione tra gli stessi e rappresentò un ‘gancio’ prezioso per i dissidenti interni ai regimi comunisti per le loro rivendicazioni. Il movimento operaio che diede vita, nel 1980, a Solidarnosc, ad esempio, si ispirò fortemente a Helsinki e, in particolare, al suo punto VII che prevedeva il rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, inclusa la libertà di pensiero, coscienza, religione o credo. Un punto che, non a caso, porterà nel 1978 alla creazione della Helsinki Watch prima (nata proprio per monitorare il rispetto dei principi degli Accordi da parte dell’URSS) e, poi, nel decennio successivo, alla Human Rights Watch, la più importante e rispettata ONG sui diritti umani al mondo.
 
L’eredità (depauperata) degli Accordi
 
Come detto, la faglia su cui nel 1975 si cercò di lavorare era, ovviamente, quella Est-Ovest tramite un forte accento posto sui principi dell’inviolabilità delle frontiere e sull’impegno a risolvere eventuali dispute, di qualsivoglia natura, in modo pacifico. Dopo la caduta del Muro, la ‘vittoria’ del modello economico occidentale e l’affermazione della globalizzazione, che ha portato a un’interdipendenza economico-finanziaria a livello mondiale, la linea sui cui Helsinki avrebbe dovuto ‘agire’ era quella della cooperazione. Non solo economica, ma anche scientifico-tecnologica e, soprattutto, ambientale. In un contesto di ampliamento massimale dei diritti dei lavoratori e delle libertà fondamentali delle popolazioni.  
 
Tristi record e l’a(r)mata (in)sicurezza
 
Cosa rimane oggi di quei riferimenti etico-politici? Di quel tentativo di fornire un orientamento per la costruzione di un ordine internazionale più giusto e sicuro?
 
La risposta è sotto gli occhi di tutti: l’inviolabilità delle frontiere non è più un pilastro invalicabile; le libertà fondamentali, soprattutto in molti paesi asiatici e dell’ex URSS, sono state fortemente ridotte; l’OSCE ha un’influenza minima proprio in quelle aree dove dovrebbe averne di più; nuove sfide transnazionali, soprattutto in ambito di cybersecurity e (dis)informazione, ha portato ad aspre contrapposizioni sia sul vecchio asse est-ovest, sia interne allo stesso Occidente, con i Paesi dell’UE sempre più divisi su svariati dossier, sia politici che economici.
 
La conseguenza diretta è il triste record, dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, di conflitti armati attualmente in corso: ben 56 (cinquantasei)! Tanto per dire: nel 2018 erano esattamente la metà. Un numero, stando all’insana corsa al riarmo a cui stiamo assistendo, destinato probabilmente ad aumentare, in una sorta di paradosso della sicurezza per il quale ogni Stato, nel tentativo di implementare la propria sicurezza attraverso il riarmo, percepisce le analoghe misure degli altri Stati come una minaccia, spingendo questi ultimi a loro volta a riarmarsi. Il risultato è un circolo vizioso in cui tutti i Paesi aumentano la propria insicurezza individuale e collettiva e diminuiscono gli investimenti in ciò che invece è reale e tangibile sicurezza sociale: scuola, sanità, trasporti, pensioni, edilizia pubblica (comparti che, considerando solamente l’Italia, potrebbero essere finanziati di sei volte con la cifra che si sta per mettere a bilancio: 700 mld in 10 anni di “aumento graduale”).
 
Ci piace, quindi, qui ricordare Helsinki ’75: quei principi restano un riferimento etico e politico e, nonostante siano stati violati, costituiscono una bussola per ricostruire un ordine internazionale più giusto e sicuro.
 
E perché quella profezia di Svevo riportata in esergo, con la quale lo scrittore triestino chiosava il suo capolavoro 102 anni fa, rimanga auspicabilmente solo una profezia…


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