Eterno Don Giovanni - InEsergo

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09 Maggio 2021 - Libri

Pulsioni e desideri dietro la maschera del seduttore

Eterno Don Giovanni
  
“In Don Giovanni, mio padrone, tu puoi vedere il più grande scellerato che ha mai messo piede in terra, un forsennato, un figlio d’un cane, un diavolo, un turco, un eretico, che non crede né al Cielo, né all’Inferno, né al lupo mannaro [...]. A fare un matrimonio non ci mette né tanto né quanto; è la sua trappola particolare per acchiappare le belle donne; è uno sposatore a tutto spiano: dama o damigella, borghese o contadina per lui non fa differenza; e se io dovessi farti la lista di tutte quelle che in luoghi differenti si è sposate, ce ne sarebbe da qui a domani mattina. Insomma, io ti dico che un giorno o l’altro lo sdegno del cielo lo stermina; che a me assai più gioverebbe esser del diavolo che di lui: e che mi fa assistere a tante ribalderie che io vorrei fosse già non so dove.”
Moliere, Don Giovanni o Il Convitato di Pietra, Atto I

Così l’umile Sganarello fornisce l’identikit del libertino più noto della letteratura: Don Juan, che esprime attraverso le proprie azioni una dottrina filosofica fondata sul disprezzo dei falsi moralismi di cui si veste la società. Non sorprende che questo personaggio sia stato sottoposto ad aspre critiche e che, fin dalle sue prime rappresentazioni in teatro, sia stato considerato motivo di scandalo. Si può dire che egli incarni la forza vitale che entra in contrasto con l’opprimente ordine sociale, ponendolo in crisi con il suo profondo turbinio.

È una forza che ci affascina, ma che siamo costretti a ripudiare a causa degli imperativi morali stabiliti dal retaggio culturale: la maschera, il travestimento sono i suoi simboli. Ma questa energia vitale appartiene specificamente al Don Giovanni eroe maledetto o all’uomo? È un impulso a noi ignoto o che intimamente costituisce la nostra essenza?

Una risposta potrebbe essere offerta dalla lettura di Traumnovelle, racconto psicologico di Arthur Schnitzler pubblicato nel 1925. Il titolo italiano dell’opera, Doppio sogno, deriva dall’unione delle prime parole dei titoli pensati da Schnitzler: Doppelnovelle e Traumnovelle: Doppletraum. La scelta di questo titolo è dovuta alla volontà di attribuire uguale importanza ai punti di vista dei personaggi del libro, Fridolin e Albertine, anche se l’autore si concentra maggiormente sullo sviluppo delle vicende e sulle intenzioni di Fridolin, che appare come il vero protagonista.

Ma, cosa ancora più importante, l’opera si ispira totalmente al celebre scritto freudiano Die Traumdeutung, ovvero L’Interpretazione Dei Sogni. È noto che tra Freud e Schnitzler ci sia sempre stato un rapporto basato sulla stima e su una critica costruttiva e che negli anni, per via epistolare, i due abbiano avuto modo di confrontarsi sulle reciproche idee di interpretazione della dimensione onirica.

Schnitzler ha mosso al padre della psicanalisi due critiche, una metodologica e una di fondo: da un lato riteneva che vi fosse una contraddizione fra la sistematicità della psicoanalisi e l’infinita interpretazione dei sogni, dall’altro che Freud, nel parlare della coscienza e del subconscio, avesse trascurato un elemento di fondamentale importanza: il “medio-conscio”. È da notare che le prime riflessioni di Freud riguardo al "medio-conscio" risalgono al 1926 e il racconto di Schnitzler viene scritto fra il 1921 e il 1925, quindi è legittimo ipotizzare che all’origine di questa scoperta vi sia la mente brillante dello scrittore viennese.

Ma cosa si intende per "medio-conscio"? Esso si configura come una sorta di luogo intermedio fra conscio e inconscio, è il cosiddetto sogno a occhi aperti e non è un caso che sia stato proprio uno scrittore ad aver trovato una via d’uscita all’eterna contrapposizione fra l’istinto e la razionalità. È per questo motivo che il titolo italiano Doppio sogno risulta inadeguato, poiché nell’opera non vi è nulla che rimandi a qualcosa di doppio, bensì a ciò che è in grado di superare i confini che separano il conscio dall’inconscio, permettendo così la loro fusione. Tuttavia, la narrazione di Schnitzler, per poter introdurre il tema del “medio-conscio” e valorizzarne la funzione, deve aggrapparsi ad un’istituzione solida, socialmente riconosciuta: il matrimonio.

Siamo nella città di Vienna alla fine dell’Ottocento. Al termine di una discussione cominciata per puro gioco e durante la quale i due coniugi si confessano reciprocamente di aver provato una certa attrazione per degli sconosciuti presenti al ballo a cui avevano partecipato la sera prima, Fridolin, brillante e affascinante medico, viene spinto dal desiderio di vendetta nei confronti della moglie che, con tono tagliente, aveva osato insinuargli un dubbio inconcepibile: “E se anch’io avessi voluto cercare, prima di conoscerti?”. Comincia così a vagare per la città in cerca della giusta occasione per poter tradire Albertine e finisce per imbattersi in ben quattro donne che lo tentano, senza tuttavia riuscire a sedurlo.

Una volta tornato a casa si confronta con la moglie che, prima di addormentarsi, decide di raccontargli un sogno che ha fatto di recente in cui tradisce Fridolin con l’ufficiale di marina conosciuto durante la loro ultima vacanza. Questo racconto, che permette ad Albertine di dar sfogo ai suoi desideri più profondi ma inattuati, provoca nel protagonista un vero e proprio sconforto, nonché un rifiuto nei confronti di quell'immagine perfetta e archetipica che aveva associato dentro di sé alla moglie. Sostanzialmente i due coniugi, in maniera più o meno consapevole, si ritrovano a mettere in discussione gli archetipi, proiettando tutto il loro desiderio su quello che hanno sognato e attribuendo un significato a tutto ciò che hanno visto.

Questo processo mentale esprime non soltanto un bisogno impellente di evadere dalla sfera matrimoniale, che può apparire talvolta come un sistema a circuito chiuso, ma anche la necessità di dar respiro a quel “desiderio desiderante”, per utilizzare il linguaggio kierkegaardiano, volto al ritrovamento dell’idea profonda di femminilità o di virilità. È per tale motivo che Fridolin si sente quasi frustrato per non esser riuscito a tradire la moglie; egli è spinto dal desiderio di vendicarsi di Albertine attraverso la concretizzazione delle fantasie e delle immagini presenti nella dimensione onirica, ma sostanzialmente non ci riesce poiché è sempre costretto a fare i conti con il principio di realtà, che lo pone in condizione di attenersi all’oggettività del mondo circostante.

Il passaggio fondamentale all’interno di questo racconto riguarda l’incontro tra Fridolin e Nachtigall, un eccentrico ex collega che ha deciso di dedicare la propria vita alla musica, all’avventura, ai viaggi. Egli incarna in qualche modo il lato oscuro di Fridolin, quel lato oscuro caratterizzato dall’instabilità, dalla propensione a vivere il pericolo e dal rifiuto delle convenzioni sociali che lo reprimono. Nel raccontare a Fridolin alcuni dettagli sulla sua vita, Nachtigall rivela di doversi recare in tarda serata presso una villa per intrattenere al pianoforte degli sconosciuti mascherati. Questa notizia provoca nell’animo di Fridolin una tale curiosità che lo spinge a presentarsi al ballo misterioso, a cui è possibile accedere solo se si è a conoscenza della parola chiave.

La descrizione del negozio presso il quale Fridolin acquista il costume da pellegrino per recarsi alla festa sembra una sorta di anticamera dell’inferno, così come il personaggio di Nachtigall richiama la figura di Caronte, il traghettatore delle anime perdute. Con il procedere della narrazione si viene a scoprire che il protagonista non riuscirà a consumare l’atto amoroso con la donna incontrata al ballo e dalla quale è rimasto totalmente incantato, perché egli è ancora condizionato dal principio di realtà, dalla paura di spingersi oltre, verso una strada senza ritorno, ma rimane profondamente turbato e tentato dall’idea di far emergere la parte più trasgressiva e diabolica di sé che ha sempre saputo di possedere ma che non ha mai avuto il coraggio di conoscere a fondo. E l’acquisto della maschera assume grande importanza poiché rappresenta la cancellazione della propria identità, fa accedere all’anonimato, consentendo al protagonista e a tutti i presenti alla festa di mettere in pratica liberamente le fantasie più profonde e anelate.

Il simbolo della maschera rievoca una famosa scena del Don Giovanni di Tirso De Molina, in cui il seduttore mascherato, scoperto da Donna Isabella e sollecitato dal re a dichiarare la propria identità, mentre è impegnato in uno scambio di dolci effusioni con un’altra dama, afferma: “Chi dovrei essere? Un uomo insieme a una donna”. Proprio nell'uso di quei due articoli indeterminativi “un uomo... una donna” era ed è forse racchiusa la risposta all'interrogativo da cui si è partiti: non l'uomo Don Giovanni soltanto, ma gli uomini tutti sono accomunati da quell'energia vitale che costituisce l'essenza demoniaca di ciascuno. Un'essenza la cui manifestazione avviene nel "medio-conscio": un sogno a occhi aperti, dove i pensieri e i desideri più nascosti prendono vita.

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