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Charles Babbage un genio fuori tempo - InEsergo

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01 Ottobre 2025 - Storie

La macchina analitica, il computer che nessuno voleva

Charles Babbage un genio fuori tempo
  
C’è chi ha la sfortuna di nascere troppo tardi e chi, come Charles Babbage, la disgrazia di nascere troppo presto. A metà dell’Ottocento, mentre Londra tossiva carbone e il treno a vapore era l’apogeo della modernità, Charles ebbe la malsana idea di concepire la macchina analitica: un’abnormità di ottone e ingranaggi che, a tutti gli effetti, era il prototipo del computer. Certo, non un calcolatore da scrivania, ma un’intera cattedrale di meccanica, programmabile, con memoria e processore. Uno squarcio sul futuro, sulla nostra epoca digitale, solo che invece di schede video e gigabyte, ci si arrangiava con cilindri, manovelle e tanta, tanta pazienza.
 
La visione era titanica, ma il pubblico del tempo non fu pronto. I politici, comprensibilmente, si divincolavano tra cannoni e parate, senza alcun interesse per le ruote dentate. Gli accademici guardavano al loro collega matematico come a una sorta di guitto della prestidigitazione. Sembra di sentirli: «interessante, ma a cosa serve?». Babbage aveva inventato il futuro, e il futuro gli aveva risposto con un’alzata di spalle.
 
Come se non bastasse, il nostro eroe era noto per il carattere non propriamente accomodante. Si racconta che avesse dichiarato guerra ai suonatori d’organetto piroettanti sotto le finestre del suo studio, arrivando a chiedere al Parlamento una legge ad hoc contro i pedestri suonatori. L’uomo che avrebbe potuto darci i computer un secolo prima bloccato non dai limiti della tecnologia, ma dal fastidio per i musicisti da strada. Visionario sì, ma anche un po’ misantropo, un pioniere della sempre fascinosa categoria del genio contro il mondo intero.
 
Eppure, la sua creatura non era fantasia astratta. Con Ada Lovelace, prima programmatrice della storia, Babbage elaborò schemi di calcolo che oggi riconosceremmo come veri e propri algoritmi. Ada vedeva oltre, intuendo che quella macchina non avrebbe solo macinato numeri, ma poteva un giorno comporre musica, generare immagini, perfino idee. Babbage era ingegnere e testardo, Ada era matematica e visionaria, figlia di Lord Byron. Una coppia perfetta, se non fosse che il mondo intero li considerava due eccentrici e ingombranti perditempo. Ironico pensare che, mentre le università del tempo snobbavano questi esperimenti, oggi i colossi della Silicon Valley vendono algoritmi miracolosi a peso d’oro, spacciando per magia ciò che Ada e Charles avevano già intuito centottant’anni fa.
 
La verità è che Babbage era troppo avanti, e chi è troppo avanti paga. Morì senza vedere completata la sua macchina, con la reputazione di un mezzo svitato, brillante ma alquanto strambo. La sua eredità rimase per decenni sepolta negli archivi, fino a quando, in pieno Novecento, l’umanità decise che forse sì, quelle macchine che pensano non erano poi un’idea così sciocca.
 
Il presente, immerso in un universo digitale fatto di laptop, smartphone e intelligenze artificiali, dovrebbe almeno tributare un grazie al vecchio Charles. Invece lo ricordiamo a malapena come nota a piè di pagina nei manuali di informatica. Ironia della sorte: inventi la civiltà che più di un secolo dopo avrebbe permesso di scambiarsi selfie, insultarsi su Facebook ed essere spiati con zelo orwelliano, e in cambio non ricevi altro che l’etichetta di bizzarro matematico.
 
Forse Babbage aveva ragione a detestare gli organettisti. Certo, non erano loro il problema, tuttavia incarnavano quella rumorosa indifferenza del mondo verso chi osa pensare troppo in grande. Meglio punire il diverso che premiarne la lungimiranza: una regola d’oro che attraversa i secoli, da Galileo a Semmelweis, passando appunto per Babbage. Oggi parti della sua macchina analitica sono finalmente visibili nei musei. Peccato che il suo inventore non abbia mai potuto vederla girare. È la più crudele delle beffe: il futuro che hai immaginato arriva puntuale, solo che lo consegnano quando sei già morto.
 
E non è finita qui. Babbage non era solo un matematico con il pallino delle macchine impossibili: era un personaggio da commedia nera. Passava ore a calcolare la probabilità che un gioco d’azzardo fosse truccato, stilava tabelle statistiche sulla mortalità, scriveva pamphlet feroci contro la stupidità pubblica. In fondo, era l’incarnazione vittoriana di quel tizio sfavillante e irritante che oggi riempirebbe blog caustici e talk show scientifici. La sua vera colpa non fu essere in anticipo sui tempi, ma essere un genio incapace di vendersi bene. Un Musk senza Twitter, un Jobs senza il turtleneck.
 
Charles Babbage è la prova vivente (anzi, defunta) che il genio non è mai comodo: non si adatta al presente, lo sfida, lo irrita, lo esaspera. E per questo il presente lo punisce, salvo poi inginocchiarsi a venerarlo post mortem. Se oggi stiamo scrivendo e leggendo su uno schermo, lo dobbiamo anche a quell’uomo che passava le notti a litigare con le ruote dentate e i giorni a imprecare contro i suonatori ambulanti.
 
Insomma, se avete un’idea troppo in anticipo sui tempi, non aspettatevi applausi. Vi daranno dell’eccentrico, vi ignoreranno, forse vi rideranno dietro. Ma un giorno, molto dopo, qualcuno ringrazierà — non voi, ovviamente, ma la comodità della vostra invenzione. Babbage docet: il genio crea, il mondo sbadiglia, i posteri monetizzano.
 

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