La naturale modernità di J.R.R. Tolkien - InEsergo

Title
Vai ai contenuti
ARTICOLI MENO RECENTI

I primi del mese

Incontri e misteri dalla finestra del quarto piano

Il mistero delle Voci Notturne

Tra esoterismo e dimenticanza televisiva

La ferita del tradimento

La quarta ferita evolutiva

Il Fascismo del nuovo millennio
Quando il dissenso diventa crimine

La Manipolazione del Linguaggio nell'Era del Conformismo Globale

Tattiche di Controllo e Censura nel Discorso Pubblico

A Strisce nere

Sotto il mantello umano: i ricordi di un'anima selvaggia

Oltre il sintomo

Il percorso olistico alla ricerca di un senso unitario

Patriarcato 2.0

Di tutta l'erba un fascio?

La Divina Commedia di J.

Un moderno Messia, miracoli instagrammabili e l'inevitabile fallimento celeste

Ponte Morandi: la verità è un anelito a prezzo di costo

Genova vuole credere nella giustizia. Genova vuole rispetto per i suoi morti. Genova chiede la Verità.
16 Luglio 2022 - Libri

Tecnologia, Uomo e Natura nell’epopea dello scrittore britannico

La naturale modernità di J.R.R. Tolkien
  
Mordor è il mondo industriale che si evolve sempre di più, estendendo il suo potere su tutto il Pianeta, distruggendolo e avvelenandolo. […] Il Primo Anello è la seduzione esercitata dalla tecnologia, la voglia di prodotti ottenuti più facilmente e in maggiori quantità
Isaac Asimov, Asimov's New Guide to Science, 1984

Chi pensava, all’indomani dello scoppio della pandemia da Covid-19, che ci si potesse fermare per riflettere sull’impatto dell’agire umano sul Pianeta e ripensare il sistema economico, alimentare, produttivo e industriale del modello capitalistico occidentale (indicato come uno dei principali responsabili della diffusione dei virus negli ultimi vent’anni nonché  del cosiddetto ‘Riscaldamento Globale’) si è dovuto ricredere in un batter d’occhio: non avevamo ancora messo il naso fuori di casa che già la parola d’ordine tra i grandi leader mondiali era ripresa, vale a dire produzione+consumi+produzione+consumi in un loop infinito e sempre incrementale.
 
In questo 2022 è ricorso il 130° anniversario della nascita, avvenuta il 03/01/1892 a Bloemfontein (SAF), di J.R.R. Tolkien, per chi scrive uno dei più importanti autori letterari del Novecento. Addirittura, per il suo esegeta più noto, Thomas Shippey, Tolkien è The Author of the Century. Non è scopo di questo scritto approfondire la poetica tolkieniana, la cui profondità e complessità richiederebbe un trattato enciclopedico. Basti qui sottolinearne l’attualità. Si, Tolkien è da un lato autore prettamente novecentesco ma i cui temi parlano, e le cui domande investono direttamente, anche l’uomo del XXI sec. Se ne volete una prova, basti prendere una delle tematiche più importanti trattate dal filologo britannico: quella del rapporto, problematico e conflittuale, tra Uomo, Natura e Tecnologia.
 
Tolkien è stato, da decenni, indegnamente ‘tirato per la giacchetta’ da più parti (soprattutto da certi ambienti culturali destrorsi), spesso banalizzando il suo articolato pensiero. Tra queste banalizzazioni figura anche quella di un Tolkien retrogrado, diffidente, a dir poco, dei progressi scientifici e tecnologici e legato escapisticamente alla Natura, a un mondo edenico ormai non più esistente in cui ritirarsi con la fantasia.
 
Nulla di più lontano dalla realtà. Certo, esisteva nel professore universitario una qual diffidenza verso la tecnica applicata alla produzione industriale; diffidenza giustificata dalla traumatica esperienza, vissuta in prima persona, della Prima Guerra Mondiale che gli aveva mostrato, in tutta la sua efferata plasticità, l’applicazione del progresso tecnologico alle armi ideate per distruggere vite umane (Tolkien, com’è noto, partecipò a una delle più grandi carneficine della storia bellica, quella della Somme nel 1916: un milione e centomila morti circa in quattro mesi e mezzo di battaglia).
 
Ma, nonostante tutto, Tolkien era ben lungi dall’essere un tecnofobo: apprezzava il progresso tecnologico nella sua forma ‘costruttiva’, tanto che tutte le razze che popolano la ‘sua’ Terra di Mezzo lo sposano e gli ambienti in cui i suoi personaggi agiscono sono anch’essi fortemente antropizzati, ivi compresa The Shire, la Contea dove vivono i simpatici hobbit, gli agricoltori bonaccioni, amanti della vita ‘borghese’ dal cui punto di vista viviamo le avventure de Lo Hobbit e de Il Signore degli Anelli.
 
La distinzione, semmai, è tra una tecnologia costruttiva, che si sposa armonicamente con l’ambiente circostante (e non parliamo solo dei birrifici, dei mulini e dei canali di irrigazione usati dagli stessi hobbit ma anche delle opere architettonicamente mastodontiche, ad esempio, del popolo dei Nani, alacri artigiani, minatori e fabbri), e una tecnologia distruttiva, incarnata dallo stregone Saruman, il più ‘politico’ dei personaggi del Legendarium tolkieniano, che nelle grotte poste sotto la sua fortezza a Isengard, ha creato la sua personale industria bellica, fatta di fucine e armerie, dalle quali esalavano fumi venefici, neri e acri, e nelle quali venivano costruiti nuovi esseri, malvagi e crudeli (i terribili orchi Uruk-hai), al solo scopo di assoggettare il prossimo e la Natura circostante con mezzi violenti. Insomma, ciò che stigmatizzava Tolkien era la tecnologia come strumento per velocizzare l’assoggettamento dell’ambiente alle proprie brame, per finalità di dominio, arricchimento e possesso (altro macro-tema tolkieniano).
 
Come ben si può notare argomentazioni, ahinoi, maledettamente attuali visto che è l’utilizzo che nel Mondo Occidentale va per la maggiore (in realtà ben presto preso a modello da tutti i Paesi che avevano le risorse politiche ed economiche per copiarlo) e che ha reso la Terra un luogo sempre più desertificato e contaminato. Ai limiti dell’inabitabilità.
 
Soluzioni? Lo scrittore britannico non ha in mano alcuna verità da offrire ai suoi lettori. Nei suoi scritti non c’è il lieto fine. E anche i suoi personaggi più positivi non agiscono in modo eroico, risolutivo e quindi consolatorio (in tal senso sia Frodo che Aragorn sono due figure tragicamente irrisolte e lontane dagli eroi di certe epopee fantasy). Come ha notato un altro dei suoi più importanti esegeti, la statunitense Verlyn Flieger nel suo imprescindibile saggio Schegge di Luce (Splintered Light: Logos and Language in Tolkien’s World, 1983), la filosofia della storia dello studioso britannico è all’insegna di una caduta, una ‘lunga sconfitta’ per usare le parole dello stesso Tolkien, una discesa continua caratterizzata da una progressiva diminuzione della Luce fino al predominio dell’Oscurità (ovviamente intesa sotto diversi punti di vista). Il Male, perciò, lungi dal poter essere eradicato, è parte intrinseca della Storia e dell’uomo stesso.
 
Dotato però di ‘libero arbitrio’, se guidato dall’Amore (sentimento che comprende la Compassione, il Perdono e la Solidarietà) e se sorretto da un’autodisciplina morale da coltivare nel quotidiano, l’essere umano può scegliere il comportamento corretto da tenere verso il prossimo e verso l’ambiente in cui è inserito.  
 
Non ci resta che consigliare, quindi, la lettura delle opere di Tolkien. In esse, ognuno di noi potrà trovare spunti e riflessioni capaci di arricchire la propria vita e gettare un nuovo sguardo sugli eventi della quotidianità. Una piccola ma vivida luce-guida in un mondo stuprato dall’egoistico e miope agire dell’uomo, di cui la tragedia del seracco dolomitico del 3 luglio scorso è solo uno degli ultimi, emblematici, esempi.






Torna ai contenuti