La donna barbuta e il cratere dei sogni interrotti - InEsergo

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28 Aprile 2025 - Storie

Nel freak show dove i mostri sono fuori dal tendone

La donna barbuta e il cratere dei sogni interrotti
  
Respiro profondamente, anche oggi inizia presto, il sole non è ancora sorto. Oggi inizia che ancora praticamente non è oggi, la rugiada sui fili d’erba, il profumo della terra bagnata. Ieri c’è stata una tempesta che è durata tutto il santo giorno. Ieri non abbiamo lavorato, oggi probabilmente non mangeremo o mangeremo mele caramellate.

Dovrei farmi la barba e cambiare vita, le cose sono strettamente connesse. Mi chiamo Greta e sono la donna barbuta, ho 26 anni, percepiti circa il triplo. Intorno ai 14 anni ho iniziato a notare che la peluria che mi cresceva sul viso non aveva nulla di normale o vagamente prepuberale. Anche i miei genitori rimasero straniti. Mio padre, uomo integerrimo e fin troppo attento alle opinioni del vicinato, mi mise in macchina e, dopo svariati chilometri di nulla assoluto, aperta campagna, boschi e case diroccate, mi portò in un enorme spiazzo che sembrava il luogo dove era esplosa la bomba atomica. Al centro di questo cratere c’era un logoro tendone da circo; mio padre parlò con il proprietario, un tizio alto e allampanato che sembrava uscito da un quadro di Magritte e dopodiché mi lasciò lì, in mezzo al nulla. Il lato positivo, però, c’era: avevo un lavoro che non avevo mai nemmeno cercato. Dovrei farmi la barba e cambiare vita, ma quale vita? Da dove dovrei iniziare? Come si va via da questo cratere postatomico?

A volte penso che avrebbe potuto andarmi peggio. A Oliver per esempio è andata peggio. Oliver ha un braccio dove dovrebbe stare l’orecchio sinistro e, al posto del braccio sinistro, non ha nulla: "spazio edificabile" lo chiama lui, vuoto, un arto fantasma con un arto vivo appena sopra. Oliver è disordinato, ma nessuno lo può biasimare: Oliver è il disordine.

C’è Tommaso, un vecchio italiano di un metro e 35 centimetri che si fa sparare dal cannone. Lui non ha nulla di anomalo fisicamente, è sempre stato solo e un giorno si è rotto il cazzo della solitudine e si è unito a noi; è rimasto solo, però, perché è sordo come una campana e, anche se gli parli, non ti ascolta. Lui sa solo che a una certa ora del giorno il cannone sparerà e sparerà lui. È bello avere uno scopo, un fine. Lui lo ha trovato, ha trovato la sua pace, è solo un po’ nervoso quando alla fine del suo numero deve tornare a piedi al tendone e nei giorni di vento a favore si allontana per molti chilometri. Poco male, è il prezzo di una vita con uno scopo, dopo tutto.

In questo freak show abbiamo tutto: abbiamo l’uomo forzuto, quello con i baffi a manubrio, per intenderci; abbiamo l’uomo lupo. L’uomo lupo si chiama Javier, è messicano e dice che nella sua famiglia sono tutti così, ma lui ha voluto fare carriera.

Le giornate passano lente e quando la gente non ha proprio nulla da fare viene a vederci. Le serate di primavera sono anche piacevoli: ci sono coppie improbabili, la ragazza vestita benissimo e il fidanzato che sembra uscito da un consulto con l’elettrauto, bambini spaventati e altri totalmente insensibili. L’atmosfera diventa carina, sembra quasi un bel mondo il nostro; basta mettere dei fili di luce, delle lampadine che hanno sfidato il tempo e lo spazio (sono le stesse lampadine da secoli, nessuno le ha mai cambiate): loro sì, sono straordinarie. Noi siamo soltanto difettosi.

L’altro pomeriggio è venuto un ragazzino in bici, ha parlato con il direttore e gli ha detto che anche lui è un freak. Diceva di sapere vomitare a comando. Il direttore era perplesso, ma il ragazzo ha veramente dimostrato il suo valore: ha vomitato la cena della sera prima in una frazione di secondo. Toulouse, il nano che fa le caricature, ha intuito del potenziale nel ragazzo e da ieri è con noi. Si chiama Ben, è abbastanza carino, biondo, magrissimo (ovviamente); abbiamo scoperto che canta anche bene. Toulouse e il direttore stanno montando il suo numero: canterà un’aria della Bohème e vomiterà. Credo sia troppo avanguardista ma alla fine siamo un freak show, è la nostra ragione d’essere impedirvi di stare a vostro agio.

Vorrei cambiare vita, farmi la barba e leggere un libro che non puzzi di muffa. È agosto, fa un caldo soffocante. Domani nel mondo normale è festa, domani nessuno andrà al lavoro. Stasera, nel cratere, ci sarà il pienone; se va bene, il direttore e l’uomo forzuto porteranno un sacco di cose da mangiare e da bere e sarà una bella giornata, una di quelle giornate in cui non vorrò cambiare vita e farmi la barba.

Stasera nel pubblico c’era un ragazzo solo, anche lui aveva la barba e mi guardava rapito. Per un attimo mi sono sentita in un romanzo di una delle sorelle Brontë, mi sentivo nuda davanti ai suoi occhi, sentivo il suo sguardo andare oltre, oltre l’abbandono, oltre la mostruosità, oltre la barba. Mi sentivo a disagio mentre ballavo; sì, non ve l’ho detto, il grosso del numero è che io ballo, ho fatto danza da piccola e sono brava, non brava da teatro, ma per un freak show sono il massimo. Di me si parla in giro, solitamente dicono “se non avesse la barba, sarebbe meravigliosa”. Anche loro, se fossero meno stronzi, sarebbero meravigliosi, ma è sempre più comodo guardare la mostruosità altrui, specie quando sono palesi, piuttosto che mirare la propria, che spesso è nascosta sotto molti strati di pregiudizio e morale a orologeria. Io ballo bene sopra una base di musica elettronica e la gente è rapita, il ragazzo è rapito, il mondo sembra fermarsi, l’aria pesante di agosto vibra insieme ai bassi della canzone. Io ho le gambe sudate, le spalle imperlate di sudore, la barba che gocciola, la fronte lucida e gli occhi bellissimi. Si incrociano con quelli del ragazzo e per un secondo so esattamente cosa sia l’amore. Sembra un trip di acido, sembra che il tempo si pieghi, che tutto abbia dei contorni ben definiti. E mentre ballo vorrei farmi la barba e cambiare vita, scappare con lui, andare a Las Vegas per insultare i ludopatici, vedere il deserto, vedere l’alba e dormire bene. E vorrei non mangiare mai più mele caramellate.

Poi la musica finisce, il ragazzo mi fa un cenno (almeno spero lo sia stato), la notte passa leggera, sta quasi per fare giorno, oggi sta finendo tardi, il sole non è ancora sorto e io e Javier stiamo finendo una bottiglia di tequila, è una bottiglia importante, una di quelle con il verme. Finita la bottiglia ci divideremo il verme e andremo da qualche parte nello spazio-tempo ad avere molte allucinazioni; i messicani sono un popolo meraviglioso.

Un po’ mi dispiace che il ragazzo di cui mi sono innamorata non mi abbia fatto scappare, mi dispiace molto. Il verme della tequila sta iniziando a fare il suo lavoro, il cratere postatomico in cui siamo si fa via via più accogliente. Javier sostiene che dovremmo invertire il punto di vista e che i mostri sono quelli che vengono a guardarci. Javier, sotto tutti quei peli, nasconde molte verità.
 

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