Il dono della tenerezza - InEsergo

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Un invito a riscoprire il linguaggio del cuore

Il dono della tenerezza

“Abbiamo fame di tenerezza, in un mondo dove tutto abbonda siamo poveri di questo sentimento che è come una carezza…per il nostro cuore abbiamo bisogno di questi piccoli gesti che ci fanno stare bene. La tenerezza è un amore disinteressato e generoso, che non chiede nient'altro che essere compreso ed apprezzato”
Alda Merini

L'estate scorsa una cara amica, durante un ascolto empatico (la CNV - comunicazione nonviolenta di Marshall Rosenberg - chiama “ascolto empatico” il dono della piena presenza e la connessione profonda e compassionevole tra due persone), ha portato alla luce quanto la tenerezza sia per me quell'ingrediente fondamentale che dà significato alle mie esperienze e che nutre le mie relazioni.

Qualche giorno dopo ricevo, da un'altra amica, un libro dal titolo “Tenerezza” (Einaudi, 2022), dello psichiatra e docente Eugenio Borgna. La prima di copertina riassume perfettamente il mio sentire: “Non c'è cura dell'anima e del corpo, se non accompagnata dalla tenerezza che, oggi ancora più del passato, è necessaria a farci incontrare gli uni con gli altri, nell'attenzione e nell'ascolto, nel silenzio e nella solidarietà".

Secondo Borgna, e mi trovo risonante con le sue parole, non ci possono essere pensieri consapevoli e amorevoli e azioni gentili e miti senza il condimento della tenerezza. Con questo termine non faccio riferimento a un sentimento romantico, patetico o utopistico, ma piuttosto a un ingrediente “concreto” per allenare e praticare l'arte dell’ascolto, dell'osservazione non giudicante e quindi della connessione empatica e compassionevole.

Mi sono accorta che, quando gesti e pensieri teneri e delicati accompagnano le mie giornate, lavorative e no, uno sguardo diverso si posa sulle cose e sulle persone: il cuore si apre, la mente appare più morbida e presente, la paura o la stanchezza lasciano il posto a un’empatica curiosità e al contempo l'esperienza si modifica e si arricchisce di significato. A volte ci vuole poco: un sorriso, uno sguardo accogliente, una carezza delicata o un abbraccio affettuoso; quel moto naturale e irrefrenabile che sgorga dall'anima e che fa sperimentare la sintonia e che, a cascata, alimenta la fiducia e permette di ritrovare la speranza.

Credo che se ognuno di noi regalasse ogni giorno gesti casuali di gentilezza e tenerezza, il mondo sarebbe un posto migliore e più felice in cui vivere. Spero che, in particolare, nei lavori in cui ci si prende cura delle persone più fragili e che hanno ferite profonde e sanguinanti nell'anima, la tenerezza diventi quell'elemento imprescindibile per guidare movimenti di cura e dare voce a quelle parole che hanno il potere di guarigione. Ancora, la tenerezza può essere considerata quella via privilegiata che ci fa uscire da una modalità egoica e soggettiva, quel balsamo che ci fa sentire fratelli e sorelle e affascinati dalla bellezza dei bisogni universali.

Il coraggio di essere teneri

Se non riscopriamo l'empatia e la nostra spontanea capacità di sentirci vicini gli uni agli altri anche attraverso la scelta di parole che facilitano la costruzione di quel ponte che ci fa uscire dai confini del nostro io, difficilmente sarà possibile cuorprendere le persone che, in particolare, vivono nel dolore, nella paura o nella disperazione. Difficilmente riusciremo a superare le barriere che ci tengono separati ed essere pienamente umani. Marshall Rosenberg non a caso intitola così uno dei suoi libri più importanti: “Le parole sono finestre oppure muri”.

La tenerezza invece crea vicinanza e intimità, ci mostra nudi e vulnerabili. Per questo, forse, oggi più di ieri, si rifuggono gesti delicati e tenere condivisioni? La tenerezza sembra dunque quel sentimento che illumina zone ombrose e inesplorate. Possiamo così sentirci imbarazzati e intimoriti nel momento in cui vengono scoperte alcune parti che forse nascondiamo anche a noi stessi? Eppure senza di essa non c'è possibilità di incontro e di guarigione. Di quel con-tatto che fa vibrare contemporaneamente l'anima, il corpo e la mente, che ci fa sentire al sicuro e integri e che offre rifugio e verità alla nostra essenza.

Quando la tenerezza, in tutte le sue sfumature -le parole che nascono dal cuore, uno sguardo compassionevole, un sorriso gentile o una lacrima che offre empatia- non viene agita, le fonti della cura si inaridiscono e difficilmente si potrà ascoltare un essere ferito e cogliere l’inafferrabile silenzio della sua sofferenza.

Come ritrovare le parole della tenerezza?

Occorre dunque una formazione non tanto professionale ma piuttosto emozionale: la consapevolezza di sé e dei propri sentimenti e desideri, così come la capacità di empatizzare con la vita interiore delle altre persone, sono i passi necessari per non smarrire i propri valori di solidarietà e di comunione e per rinnovare gli slanci del cuore e frequentare gli spazi liberi dell'anima.

Appare fondamentale dunque la responsabilità delle famiglie e delle scuole di ridare voce e dignità alle parole tenere: ci sono parole che curano e altre che fanno molto male. Come racconta lo psicoanalista e saggista Massimo Recalcati: “Le parole sono vive, entrano nel corpo, bucano la pancia: possono essere pietre o bolle di sapone, foglie miracolose. Possono fare innamorare o ferire. Le parole non sono solo mezzi per comunicare, ma sono corpo, carne, vita, desiderio. Noi siamo fatti di parole, viviamo e respiriamo nelle parole”.

Scegliamo perciò attentamente le nostre parole e, soprattutto nei luoghi di cura, prima di farle uscire dalla nostra bocca lasciamogli il tempo di dimorare teneramente nel nostro cuore.


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