Stuart
Sutcliffe, la storia del Beatle perduto
Amburgo nel 1960 era una città viva, una città del nord Europa negli anni ‘60 insomma, dove tutto era nuovo, tutto era trasgressivo, i club musicali erano molti e le inibizioni andavano via via scomparendo, salvo poi tornare sotto forma politically correct negli ultimi anni.
Nel quartiere di St. Pauli c'erano diversi club musicali, ad esempio uno piccolissimo e a quanto dicono molto malfamato che si chiamava Indra e un altro che era un po' meno malfamato e si chiamava Kaiserkeller, entrambi di un imprenditore tedesco che possedeva orecchio musicale, un grande istinto e, dettaglio molto poco trascurabile a mio modo di vedere, un cinema porno.
Ad Amburgo in quegli anni potevi imbatterti in parecchi gruppi musicali che suonavano al Kaiserkeller, una band in particolare era formata da John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e fino a qui direi che quasi tutti sappiamo di chi si stia parlando, c'era Pete Best alla batteria (ma ancora per poco) e poi c'era uno che suonava il basso, alto, diafano, concentrato più sul gesto di suonare che sul suono stesso, non molto a suo agio sul palco tanto da dare le spalle al pubblico. Sembrava quasi che suonare il basso nei Beatles per lui fosse più che altro una specie di dovere. Quel ragazzo non era nato per fare il musicista, quel ragazzo era un pittore di straordinario talento, era un compagno di accademia di John Lennon che lo convinse a comprarsi un basso elettrico dopo aver vinto un concorso di pittura.
Nel fumo e nella calura del Kaiserkeller i Beatles stavano diventando i Beatles ma quello al basso (che pure si era inventato il nome Beatles perché a suo dire The Quarrymen non si poteva proprio sentire) non ci sarebbe stato, anche se sarebbe stato importante, così importante da venire ritratto sulla copertina di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band.
Quel ragazzo si chiamava Stuart Sutcliffe, detto Stu.
Durante il loro periodo ad Amburgo i Beatles crebbero artisticamente, acquistarono fiducia, si convinsero di poter diventare grandi, anzi grandissimi, tutti tranne Stuart.
Stuart oltre a pensare di non avere l'attitudine del musicista soffriva di forti emicranie, lo infastidivano i riflettori, il chiasso e il caldo dei Club di Amburgo. Lui voleva solo dipingere e gli altri Beatles lo sapevano, ma non potevano cacciarlo, proprio non potevano, perché era molto amico di John Lennon, qualcuno insinuava anche che fossero più che amici, ma a chi scrive queste etichette, queste dicerie, interessano ben poco. C'è un film del 1994 che racconta bene questa storia, è di Iain Softley e si intitola Backbeat.
Il nostro quinto Beatle nel 1961 aveva conosciuto una ragazza, un'anima inquieta, un’artista, una fotografa con i capelli biondi molto corti e che vestiva sempre di nero, il suo nome era Astrid Kirchherr; proprio per stare vicino ad Astrid aveva finalmente deciso di lasciare i Beatles, restare ad Amburgo e seguire la sua reale inclinazione assecondando il suo talento primario, quello per la pittura.
Stuart, quindi, salutò i suoi amici al porto, quasi sicuramente una fredda mattina grigia e piena di nuvole (o almeno così sarebbe stata se il mondo assecondasse i nostri stati d’animo) e continuò a studiare ad Amburgo e a vivere con Astrid: finalmente in pace nella sua dimensione più congeniale sarebbe diventato un grande artista perché era quello che voleva fare, quello per cui era nato.
Ma i mal di testa continuarono a peggiorare, spesso accompagnati da temporanea cecità. Peggiorarono fino al 10 aprile 1962 quando morì sull'ambulanza che lo portava in ospedale, ufficialmente per emorragia cerebrale.
Alcune opere di Stuart Sutcliffe sono conservate alla Walker Art Gallery di Liverpool.
Così finisce la storia del quinto Beatle, che lasciò il gruppo per seguire la sua strada. Una storia che oggi forse non potrebbe accadere, con la smania del successo a tutti i costi, della visibilità perenne che si vuole ottenere anche non sapendo fare niente di straordinario o addirittura non essendo per nulla dotati di talento.
Stuart Sutcliffe di talento ne aveva tanto, talmente tanto da poter scegliere quale inclinazione seguire e sviluppare, lasciandoci una storia da raccontare e tante tracce del suo passaggio su questa terra.