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22 Gennaio 2023 - Musica

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Shhhhh
 
Paul Klee: "Polifonia"
“Sono esistiti, ed esistono tuttora, malgrado i disordini che la civiltà reca, piccoli deliziosi popoli che appresero la musica con la semplicità con cui si apprende a respirare. Il loro conservatorio è: il ritmo eterno del mare, il vento tra le foglie e mille piccoli rumori percepiti con attenzione, senza mai ricorrere a trattati arbitrari. Le loro tradizioni vivono negli antichissimi canti associati alla danza, in cui ciascuno, durante i secoli, ha rievocato il suo rispettoso contributo.”
Claude Debussy
 

La bara esce alla luce del sole. Sul sagrato, per minuti eterni, gli unici suoni sono i passi felpati dei portatori e le loro manovre per adagiarla nel carro funebre.
All’interno c’è la salma di una giovane donna. La giovane donna, oltre a essere moglie e madre, era orchestrale e guida musicale per bimbi.

Altri brusii di passi. Non più i portatori, raccolti in una compostezza quasi trasparente, ma una dozzina di donne che si dispone a ventaglio davanti al carro funebre: sono alcune delle madri dei pargoli che hanno vissuto le loro prime esplorazioni sonore e armoniche accompagnati dalla giovane donna, Romy.
Ora, sul sagrato, il loro essere madri ha lasciato le vesti di ruolo sociale, per tornare forza ancestrale, creatrice, misteriosa, che dà la vita e in questo caso ne saluta una giunta al termine.

Tra i tanti, tantissimi presenti c’è chi sa cosa sta per succedere e chi no.

Nell’attesa, cara lettrice, caro lettore, andiamo adagio; anzi teniamo il tempo più largo possibile (anche se le circostanze lo esigerebbero grave, di gran lunga più solenne) per esplorare l’intervallo di silenzio ritmico tra il battere e il levare.
Cosa ci sarà di così interessante in quel punto non udibile, ti chiederai. E me lo chiedo pure io. C’è forse assenza di tempo? Oppure è il periodo in cui il vuoto non è assenza ma possibilità, vastità… la stessa che si estende tra il dire e il fare. Tra nascere e rinascere.

Il Suono sta alla Musica, come il Tempo al Silenzio.
Se la Musica è Suono intonato, il Silenzio è Tempo ascoltato.  

La Musica è arte e scienza.
L’arte in greco antico si chiama techné (tecnica), in Giappone asobi (gioco).
Secondo te l’essenza del gioco può essere conoscenza arricchita d’intuito?
Il gioco come predisposizione d’animo, alleggerisce la vita o rimane una perdita di tempo?
E quando diciamo che esistono giochi senza tempo, cosa intendiamo veramente?
Lo so, non hai tempo e hai troppa fretta per simili svolazzi di farfalle.

Ieri ho comprato due scatole, una per conservare il tempo che mi sfugge e una per riordinare la fretta che m’inciampa. Ci credi che non sono stato in grado di riempirle? Forse non ho abbastanza immaginazione.
“Ho, non ho”, “hai, non hai”: voce del verbo avere, possedere, stringere a sé, costringere a sé, attaccarsi, appiccicarsi (persino alle idee).
Ma quanto siamo accumulatori mentali noi umani che pretendiamo di capire e trattenere tutto e tutti tramite le parole, quando certe cose (e persone) andrebbero solo sentite.
Beato Silenzio.

Ho sempre odiato la matematica perché non riuscivo a immaginarla. La definivo arida quando invece è semplicemente astratta, come certa arte; quest’ultima pare insondabile mentre la scienza dei numeri è inopinabile. Entrambe indagatrici del mistero, entrambe dentro la Musica, il cui termine deriva dal greco antico musikè, ovvero Arte delle Muse.
Se la sua provenienza è divina, la sua comparsa sulla Terra risale all’infanzia del genere umano.

All’inizio è Musica del Corpo: danza e canto.
Danza: battito di piedi al suolo, di mani con mani, di mani sul corpo, di movimenti che animano sonagli e animano l’aria.
Canto: modulazione dell’aria nelle proprie cavità, che fanno da cassa di risonanza.
Come nei canti Inuit e nel Cantu a Tenore sardo (nato nel periodo nuragico), si imitano i suoni dell’ambiente e degli animali, si riunisce una comunità, si gioca, si esorcizza il mistero. Il corpo che genera e si copre di musica.

Poi diventa Musica della Terra: l’arco sonoro, strumento ancestrale di oltre 40.000 mila anni fa, che utilizza una buca scavata nel terreno come cassa di risonanza. Il grembo della Grande Madre.
Nella sua versione portatile, antenata di cetre, liuti, berimbau e chitarre ma anche dello scacciapensieri, a volte è la bocca del musicista, altre volte è una zucca vuota o un guscio di tartaruga a modulare e intonare l’etere.
Con l’arco sonoro la musica si avvicina a una dimensione meditativa, a una comunicazione personale con il sacro, in quel movimento d’aria che va dalla terra al cielo, attraverso l’essere umano.

Dalla Terra al Cielo, proprio come un albero. La Musica è albero? O è nell’albero?
Nelle notti di luna calante, all’approssimarsi dell’inverno durante la piccola glaciazione che colpì l’Europa tra Seicento e Settecento, leggenda vuole che il liutaio Stradivari si recasse nella foresta alpina di Paneveggio alla ricerca di abeti rossi per i suoi violini. La poca linfa del tronco in quella stagione, il freddo intenso e i secoli di vita ne esaltavano la risonanza. Lui la sentiva.
Il legno buono, una volta abbattuto, muore davvero? O risorge grazie alla Musica?
La Musica è linfa e foglie le nostre orecchie?

Nel mentre, davanti alla Chiesa, le madri a ventaglio si guardano e attendono che un lungo respiro le unisca e le accordi.  

Le prime a muoversi sono le gambe, poi, come in un rito sciamanico, corpi e voci quasi bianche si distaccano dalla mente, danzano e volteggiano leggere come fanciulle.S’alza e splendidamente stride col dolore rappreso nell’aria, il canto di gioia con cui Romy chiudeva ogni incontro coi suoi piccoli.

“Ciao (ciao), ya-ra-ra, ciao (ciao), ya-ra-ra
agita le mani, dai facciamo Ciao!
Ciao (ciao), ya-ra-ra, ciao (ciao), ya-ra-ra
Questo è il nostro modo di cantare Ciao…”

Impossibile per gli occhi di chiunque fosse presente, prete compreso, non innaffiare l’anima: troppo intenso l’ossimoro, troppo profondo il potere delle Muse. Troppa vita davanti alla morte.

“Pronti per un salto, dai facciamo… CIAO!”




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