Qualcuno mi ascolta? - InEsergo

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09 Marzo 2022 - Musica

Le peripezie di un insegnante innamorato della musica
  
Qualcuno mi ascolta?
 
Avrò avuto circa dieci anni, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia, ma non potrò mai dimenticare i primi concerti ai quali ho assistito in compagnia dei miei genitori. Era un rituale consolidato: nei mesi estivi ci recavamo presso l’atrio inferiore del palazzo comunale della mia città natale – Sciacca – per assistere agli spettacoli serali a cielo aperto proposti di volta in volta dall’allora amministrazione locale. Si trattava di rassegne piuttosto variegate che abbracciavano generi che andavano dalla musica classica al pop, dai musical alle operette, con qualche sortita in ambito jazzistico. Parallelamente, su proposta di mia madre (accolta con entusiasmo), avevo da poco iniziato a studiare pianoforte. In famiglia eravamo e siamo tuttora in tanti a suonare. Insomma, quell’ambiente fertile e stimolante non ha fatto altro che incrementare ulteriormente il mio amore incondizionato per la musica, che continuo a coltivare attraverso la pratica quotidiana della chitarra elettrica e del pianoforte. Per questo la gratitudine verso i miei genitori sarà eterna.
 
Con un brusco salto temporale smetto di sognare a occhi aperti e ritorno a piè pari nel 2022. La location questa volta è una classe delle scuole medie, gli attori sono i miei alunni e io. La scena alla quale assisto è più o meno la medesima da qualche anno: nel momento stesso in cui propongo ai ragazzi l’ascolto di determinati brani (a prescindere da generi ed etichette) mi accorgo di come sia sempre più faticoso catturare la loro attenzione. In una classe composta mediamente da 25 soggetti, quelli che mostrano un reale coinvolgimento nelle attività proposte costituiscono generalmente un quarto del totale, con le poche ma meritevoli eccezioni di ragazzi che hanno avuto la mia stessa fortuna e nelle loro famiglie un genitore suona o ha suonato uno strumento musicale. La stragrande maggioranza, invece, appare attratta da fattori decisamente effimeri, come il famigerato numero di visualizzazioni/like di un determinato artista che ne decreterebbe l’essere cool. Stravagante inoltre come lo stesso brano, magari tanto venerato, venga considerato superato - “roba da boomers” - solo pochi mesi dopo la pubblicazione.
 
Quello che mi sembra più preoccupante, a prescindere dai gusti musicali discutibili (eufemismo), è dei ragazzi la loro scarsa, per non dire nulla, capacità di ascolto. Dopo pochi istanti li vedo distratti, svogliati, quasi disinteressati, anche al cospetto di canzoni di loro gradimento. In quei momenti non vi nascondo di benedire il fatto di esser nato nell’era del vinile e della puntina che creava epici solchi sul vecchio giradischi di famiglia. Eppure, non gli si sta chiedendo di risolvere una complicata espressione matematica, bensì di ascoltare musica. È facile comprendere allora come mai i brani che passano in radio debbano sottostare a una determinata soglia temporale (di solito i quattro minuti). Il problema della durata, tuttavia, non dovrebbe stupirci più di tanto. Viviamo in un’epoca nella quale si cerca di attirare l’attenzione dei fruitori di musica adottando strategie di marketing atte a fare breccia in pochi istanti. Tralasciando il versante meramente pubblicitario, possiamo notare queste dinamiche giornalmente anche sui social: dalle stories su FB a WhatsApp e TikTok, i messaggi devono restare circoscritti a un lasso temporale infinitesimale. La comunicazione influenza la nostra quotidianità e restano ormai pochi quelli che ancora preferiscono sollevare la cornetta piuttosto che schiacciare il tasto “registra messaggio”. Dalla diretta si è passati alla differita.
 
Il problema principale, a detta di chi scrive, sta nella mancanza di strategie finalizzate ad affinare/sviluppare uno spirito critico e una propensione all’ascolto (non solo musicale) nelle persone, a prescindere dalla loro fascia di età. Penso che non ci siano dubbi a ritenere “avvantaggiato” chi abbia praticato lo studio di uno strumento musicale. Solitamente in questi soggetti si riscontra una maggiore predisposizione alla fruizione dell’evento artistico, al riconoscimento del valore di una performance e della fatica che si cela dietro a determinati risultati. “Banalmente” costoro dispongono di tempi d’attenzione maggiori anche nella vita di tutti i giorni. Resto tuttavia convinto che i modi per superare/aggirare queste lacune esistano e che non ci si debba dare per vinti in partenza. Proporre ai propri figli la pratica musicale in età precoce risulta quasi sempre una scelta vincente, mettendo anche in conto che l’amore per lo strumento potrebbe non sbocciare mai. Accompagnarli fin da piccoli ad assistere ai concerti, a prescindere dal genere, li porterà probabilmente a incuriosirsi, ad avvicinarsi all’arte. La curiosità, il mettersi in gioco divengono fondamentali, si tratta di qualcosa che stimola la creatività, che è, molto spesso, ciò che manca ai ragazzi. Ma lo stimolo verso la rottura degli schemi e della routine consolidata credo che il più delle volte debba essere indotto, specie in età adolescenziale.
 
È palese che un adolescente trarrà notevoli benefici dallo studio di uno strumento musicale, sia classico che moderno, non ultimo quello magari di formare una band con la quale trascorrere pomeriggi “alternativi” provando e riprovando, per affinare la tecnica, ma soprattutto per socializzare in maniera sana e creativa, altro aspetto fondamentale della crescita armonica di un individuo. Non dimentichiamoci mai della componente fortemente aggregativa della musica. L’eventualità di esibirsi nei locali e trasformare la propria passione in qualcosa di più “serio” è solamente un possibile passo futuro, ma non è detto che debba realmente manifestarsi. Un ragazzo che inizia a suonare risulta più aperto al confronto di un proprio coetaneo, sviluppa una sensibilità superiore e uno spirito critico più accentuati. Saprà fare, ad esempio, connessioni tra il messaggio di un prodotto pubblicitario e il jingle che lo accompagna, decodificherà con più precisione il senso di una sequenza cinematografica se accompagnata da una melodia. Si diventa onnivori di musica quando si impara ad ascoltare, ascoltarci, confrontarci, con il conseguente gusto della scoperta. Saremo noi, allora, a cercare la musica che più ci piace. Impareremo a conoscere una miriade di artisti all’interno di un percorso di ricerca che diventerà pressoché infinito e ci accompagnerà per tutta la vita. Non ci limiteremo più all’ascolto dei circuiti radiofonici mainstream ma cominceremo a cercare e a setacciare la musica. Ovunque. I tempi di ascolto aumenteranno, così come la concentrazione, la socializzazione e lo stare bene in generale.




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