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26 Aprile 2018 - Attualità

La Via Lattea si muove a tempo di blues grazie a un astronomo americano

Musica ricavata da astronomia: l'esperimento di Mark Heyer
 
California, Università di Santa Barbara. Un ricercatore dall’intelletto particolarmente fervido come Greg Salvesen a un certo punto ha l’idea che ai dati grezzi delle ricerche astronomiche si potrebbero abbinare dei suoni, trasformando una scienza tradizionalmente visiva come l’astronomia in qualcosa di accessibile a tutti, anche a persone con disabilità alla vista. A inizio anno Salvesen mette on line il sito Astronomy Sound Of The Month che offre alla collettività con regolarità mensile composizioni musicali tratte da dati astronomici reali, accompagnate da un supporto visivo e dalla spiegazione tecnica: il tutto perché “creare suoni studiando lo spazio è semplicemente fantastico”. Dall’altra parte dell’America, in Massachusetts, presso la locale università di Amherst insegna Mark Heyer, professore di astronomia, altra mente a dir poco vivace. I due iniziano a collaborare a un vecchio pallino di Heyer – che tra le altre cose è anche un risoluto appassionato di musica – qualcosa che aveva in testa da 25 anni: dare un suono ai movimenti gassosi della Via Lattea. Impensabile fino a qualche tempo fa, perché ci sarebbe voluta un’orchestra assoldata a tempo pieno. Ma la soluzione arriva da un particolare software di composizione, in grado di creare una partitura musicale utilizzando un algoritmo. Così è nato Milky Way Blues, il primo blues galattico che la storia ricordi.

Il blues dei gas interstellari
I 2’30’’ della composizione utilizzano quattro strumenti: sassofono, basso acustico, pianoforte e woodblock; ognuna delle quattro voci corrisponde a una particolare tipologia di gas, rispettivamente ionizzato, atomico e molecolare. “Nella galassia – spiega Heyer – lo spazio tra le stelle è pieno di gas. Assegnando diversi toni e lunghezze di note alle emissioni spettrali osservate di ogni fase gassosa, in base all’intensità e alla velocità misurata, l’astronomo può esprimere una caratteristica cruciale della galassia che manca nelle pur sorprendenti immagini astronomiche: il movimento”.
Dunque, la musica ha il compito di tradurre quella singolare dinamicità che è caratteristica vitale della Via Lattea ma che non può essere colta dalle fotografie o dai freddi dati. E a proposito di dati, in questi due minuti abbondanti convergono qualcosa come vent’anni di studi e indagini al radiotelescopio. Ma perché un blues? L’espediente è stato quello di utilizzare la scala pentatonica (un particolare tipo di scala musicale composta da sole cinque note e senza intervalli di semitono) in chiave minore, perché “quando ho sentito le note dei bassi suonavano molto jazzy e blue (malinconiche, ndr)” spiega ancora Heyer.

Ogni suono un simbolo
Salvesen ha fornito il supporto visivo: dal momento che questo blues è la rappresentazione in musica dei movimenti gassosi della nostra galassia, era necessario abbinarlo a un elemento che facilitasse la comprensione visiva dei suoni. “Ogni nota e cerchio nel video – precisa Heyer – rappresenta il movimento del gas nella Via Lattea: il colore blu e le note alte sono per i gas che vengono verso la Terra, mentre il colore rosso e le note basse per i gas che se ne allontanano. Ogni strumento musicale è identificato da un differente bordo colorato sui cerchi. Le linee indicano le direzioni dove il telescopio di volta in volta ha puntato e le posizioni dei cerchi si riferiscono a quelle dei gas nella galassia: note più lunghe e cerchi più grandi indicano intensità gassose più consistenti. Il simbolo della stella individua la posizione del nostro sole”.

La musica dell’universo
Al di là delle innovative ricerche di Greg Salvesen, volte a sviluppare materiali didattici accessibili che utilizzino il suono come mezzo complementare per insegnare concetti di astronomia, non è la prima volta che musica e osservazione dell’universo vanno di pari passo. Già Giovanni Keplero quattrocento anni fa scrisse “L’armonia del mondo” che descriveva il movimento dei pianeti intorno al sole e assegnava note musicali alle diverse velocità orbitali. Ma più in generale l’essere umano da sempre guarda alle profondità celesti cercandovi ispirazione. In fondo davanti all’infinito ci sentiamo un po’ tutti come il Maggiore Tom di David Bowie, che volteggia stranito nello spazio intorno alla sua astronave e osserva la Terra lontana e piccola, circondato da un mare di silenzio, mentre il suo barattolo di latta è comandato da un pilota automatico a cui volente o nolente deve affidarsi in toto: nulla è più in suo completo controllo di fronte alla vastità senza tempo dell’universo.

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