La fabbrica di plastica - InEsergo

Title
Vai ai contenuti
ARTICOLI MENO RECENTI

La magia della routine

Pillole di saggezza dal Sol Levante

I primi del mese

Incontri e misteri dalla finestra del quarto piano

Il mistero delle Voci Notturne

Tra esoterismo e dimenticanza televisiva

La ferita del tradimento

La quarta ferita evolutiva

Il Fascismo del nuovo millennio
Quando il dissenso diventa crimine

La Manipolazione del Linguaggio nell'Era del Conformismo Globale

Tattiche di Controllo e Censura nel Discorso Pubblico

A Strisce nere

Sotto il mantello umano: i ricordi di un'anima selvaggia

Oltre il sintomo

Il percorso olistico alla ricerca di un senso unitario

Patriarcato 2.0

Di tutta l'erba un fascio?

Ponte Morandi: la verità è un anelito a prezzo di costo

Genova vuole credere nella giustizia. Genova vuole rispetto per i suoi morti. Genova chiede la Verità.
27 Ottobre 2022 - Musica

Un capolavoro senza tempo
  
La fabbrica di plastica
 
Partirei citando alla lettera le parole di un caro amico: “come soldi non ha venduto una fava, è stato un colossale flop. Anche l’idea di una copertina spoglia e semplice non ha avuto successo”.

Gli albori

Facciamo un passo indietro: un giovane cantautore si presenta sul palco dell’Ariston nell’inverno del 1995, classificandosi al sesto posto nella sezione “nuove proposte” con il brano Destinazione paradiso, incluso nell’omonimo primo album. Un sapido arpeggio di chitarra acustica di Massimo Luca introduceva la canzone, donandole un insolito (per il panorama italico) retrogusto country-blues. Il brano, così melodico e poetico, trattava in realtà la scottante tematica del suicidio. Gianluca Grignani diventa ben presto l’idolo delle teenager e l’album (contenente molti singoli) riesce a vendere due milioni di copie nel mondo, una cifra enorme specie se rapportata ai nostri giorni.

L’aspetto destabilizzante
 
Chi si aspettava una sorta di “remake” del primo disco rimase profondamente deluso. Il 20 maggio del 1996 venne pubblicato dalla Polygram (che oggi non esiste più) La fabbrica di plastica, anticipato da una febbrile quanto giustificata attesa. Il disco si presentava in maniera alquanto originale: nome e cognome dell’autore e titolo campeggiavano sulla copertina con dei caratteri stropicciati su un fondale che aveva l’aspetto di una specie di pergamena bruciacchiata. L’interno del booklet era a dir poco destabilizzante, con tutti i testi scritti a mano, compresi i tagli e le correzioni. Intuii che La fabbrica di plastica avrebbe rappresentato una frattura netta rispetto al recente passato dell’artista.

La musica
 
Non sto più nella pelle e inserisco il cd nell’apposito lettore (mentre scrivo mi sembra di rivivere il primo momento…). Vengo inondato da un sound che mi lascia senza parole. Le chitarre sono delle scudisciate in piena regola: marce, fuzzose, incazzate (passatemi il termine), in una parola vere. Il sound è avvolgente, un vero pugno nello stomaco, e Grignani canta con una veemenza da far tremare i polsi. Il brano che dà il titolo al disco, posto proprio in apertura, ha un testo emblematico e trasmette un messaggio forte, dannatamente attuale, al punto che più volte ho proposto l’ascolto e l’analisi musicale-testuale a scuola, in alcune delle classi terze nelle quali ho lavorato, suscitando spesso una certa curiosità. La realtà è che tutto l’album mantiene un livello altissimo, dalla prima all’ultima traccia. La fabbrica di plastica è un disco di rottura: “In quegli anni trovavo molte difficoltà a fare un certo tipo di musica in Italia. Non sono cambiato, questa volta ho avuto l’occasione di fare quello che volevo. Ho avuto il tempo di produrre tutto da solo e di sottolineare le cose che avevo da dire non solo con le parole, ma anche e soprattutto con la musica”. Dalla title track a L’Allucinazione, a Solo cielo, non esiste un brano dell’album che non vada menzionato per l’alta cifra artistica.

Aneddoti e curiosità
 
Il disco fu arrangiato da Grignani insieme a Greg Walsh (storico collaboratore di Lucio Battisti) e venne missato tra Garlasco e i mitici Abbey Road Studios di Londra. La lineup comprendeva nomi del calibro di Massimo Varini alla chitarra elettrica, Franco Cristaldi al basso e Mario Riso alla batteria. Con La fabbrica di plastica Grignani smise le vesti di “cantante pop” per indossare quelle di artista alternativo, underground, maledetto. Difatti l’album non fu capito e risultò un flop a livello commerciale. Ma ancora oggi, a 25 anni dalla pubblicazione, non conosco musicisti che non ne siano innamorati perdutamente. Massimo Luca, chitarrista di notevole esperienza ed ex produttore di Grignani, ebbe a dire: “artista finito? non proprio; è decollato seguendo i miei consigli, poi ha voluto fare di testa sua”. In realtà il cantautore milanese aveva un quadro ben chiaro della situazione e del sound che avrebbe voluto ottenere: “Mah…non lo so, io volevo solamente rifare The Bends”.

In una delle nostre chiacchierate musicali, il chitarrista Mattia Tedesco, noto session man e caro amico, mi ha raccontato come l’album dei Radiohead, The Bends per l’appunto, fosse uno dei principali riferimenti musicali di Grignani. Mattia e Gianluca trascorrevano interminabili minuti nei palasport per ottenere il sound giusto e le sfumature che solo un musicista pienamente consapevole dell’intero processo creativo conosce. Momenti preziosi e formativi per Tedesco, che tutt’oggi considera quella con Grignani una vera e propria palestra. “Ebbi la possibilità (avevo 25 anni) di imbracciare strumenti iconici: una Jazzmaster del ’65, una Tele degli anni ’50… Non potevo crederci. Gianluca fu molto carino e preciso con me. Ha cambiato il mio modo di intendere la chitarra al servizio di una canzone, della chitarra che può essere morbida, lancinante, drammatica”.

Le chitarre elettriche in studio furono invece registrate da uno dei più importanti turnisti italiani, Massimo Varini, che a distanza di anni ricorda: “La fabbrica di plastica è un disco molto sofferto e non si parla di vendite, ma di importanza artistica. Gianluca aveva le idee molto chiare in quanto al sound da ricercare e all’energia. Una volta mi sono ritrovato a urlare dentro un Lesley (…). Non abbiamo usato nessun computer, si cercava tutto attraverso la manualità. Ci siamo spesso scontrati, lui voleva che suonassi in piedi con la chitarra tenuta bassa e che suonassi forte e aveva pienamente ragione perché quando tieni la chitarra bassa e distendi il braccio riesci a conferire un’energia diversa. Continuo a ricevere complimenti per le chitarre di quel disco, dove dentro c’era molta ricerca e tanta inquietudine”.  

Considerazioni finali
 
Nonostante l’album vendette solamente 150.000 copie, ancora oggi è considerato dalla critica specializzata uno dei migliori dischi mai realizzati (non soltanto in Italia). È un peccato assistere all’attuale declino dell’artista milanese alle prese con problemi personali che, tuttavia, non gettano ombre sulla bellezza di un capolavoro come La fabbrica di plastica. Spero di aver reso adeguato omaggio a Gianluca e al suo disco seminale e senza tempo.

Torna ai contenuti