Eddie Van Halen, l’essenza del rock - InEsergo

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29 Novembre 2020 - Musica

Retrospettiva a poche settimane dalla morte di uno dei più grandi chitarristi elettrici di tutti i tempi

Eddie Van Halen, l’essenza del rock
 
«Quando ho sentito “Eruption” per la prima volta alla radio sono rimasto a bocca aperta, come quando ho sentito Hendrix da bambino. L’ho sempre considerato il più grande della mia generazione di chitarristi che è venuta dopo i giganti come Hendrix, Page, Beck, Clapton. Suonava sorridendo, una cosa importante perché all’epoca i chitarristi erano tutti smorfie, ringhi e pretenziosità. Per anni ho pensato che l’arte della chitarra fosse in pericolo, perché stava imboccando una strana strada. Improvvisamente è arrivato lui ed era come se la sua musica mi parlasse. Metteva gioia in ogni nota. Sorridendo ti faceva capire che era tutta una questione di divertimento. Ma allo stesso tempo, i musicisti sapevano che non potevano arrivare a quel livello. Il lavoro sul ritmo era esilarante, la scelta delle note incredibilmente divertente e coraggiosa. Ha scritto grandi canzoni e non ha annoiato con ore e ore di roba noiosa. È stato sempre rock’n’roll».
 
Tra le tante dimostrazioni di affetto e di sincero cordoglio per la precoce dipartita di Eddie Van Halen, trovo che quella di Joe Satriani racchiuda al meglio ciò che l’olandese volante della sei corde ha simboleggiato per il mondo della musica in generale e della chitarra elettrica in particolare. Chitarra le cui prerogative non venivano rivoluzionate in maniera così autorevole dai tempi di Jimi Hendrix. Il songwriting (tra l’altro Van Halen è stato il primo guitar hero a introdurre i sintetizzatori in un contesto smaccatamente hard rock), il look, il modo unico di stare sul palco sono caratteristiche che solo le vere icone del rock possono vantare. La tecnica eccelsa, un senso melodico innato abbinato a una rimica oserei dire tellurica e, ovviamente, IL suono (il celeberrimo Brown Sound) sono gli indelebili marchi di fabbrica dell’artista olandese. È il suono, infatti, il primo biglietto da visita di qualunque musicista che si rispetti.
 
È Steve Vai, questa volta, a ricordare un aneddoto che non lascia adito a fraintendimenti. «C’è una storia che penso possa interessare i chitarristi. Ero nello studio di casa mia, a Hollywood, con la mia chitarra, il rig, i pedali e l’amplificatore. A un certo punto è arrivato Edward. Chiacchierando mi ha detto: “Ti faccio vedere a cosa sto lavorando”. Prende la mia chitarra, inizia a suonare e tira fuori un suono alla Edward Van Halen. Era la mia chitarra, ma non suonava per niente come me. Era il suo brown sound. C’era tutto quello che amiamo del suo timbro. Suonava con la mia attrezzatura e riusciva ad essere comunque sé stesso».
 
Il suono leggendario di Eddie era inizialmente ricavato con una Marshall 1959 Super Lead, acquistata second hand in Inghilterra. Come spesso accade la classica intuizione è frutto di una svista. Van Halen, infatti, non si accorse che avrebbe dovuto regolare il voltaggio secondo gli standard americani (110V), che corrispondono alla metà di quelli adoperati nel Vecchio Continente. A questo proposito aggiunse un trasformatore Variac per stabilizzare l’alimentazione, accorgendosi che si sarebbe potuto spingere fino a 140V senza per questo compromettere il corretto funzionamento delle valvole. Incredibile come negli anni, pur cambiando più volte strumentazione, il sound di Eddie sia rimasto lo stesso di sempre e, per questo, perfettamente riconoscibile. A cavallo tra ’80 e ’90 abbandonò la vecchia testata Marshall per passare alla mitica Soldano SLO – 100, quella che più si avvicinava, a detta dell’artista, alla timbrica della 1959 Super Lead. Un ricco contratto da endorser portò poi l’olandese a virare nuovamente verso altri lidi: è la volta della Peavey 5150, che prese il nome dal suo studio personale, diventando anche il titolo di un album dei Van Halen (5150 per l’appunto) pubblicato nel 1986. Iconico è anche il disegno della Frankenstrat. Eddie assemblò la sua prima elettrica acquistando per poco più di 80 dollari un manico e un body della Boogie Bodies, equipaggiandoli successivamente con un pick up humbucker della Gibson. Da allora, quando si foggia una chitarra adoperando parti provenienti da diversi strumenti (la Strato è per antonomasia uno strumento altamente personalizzabile) si suole denominarla “Frankenstrat”.
 
Molti chitarristi hanno cercato di emulare il suono di EVH equipaggiando il proprio strumento con pickup ceramici (come i Super Distortion della Di Marzio, ad esempio) dotati di un’uscita importante. Nulla di più sbagliato. I pickup al ponte delle chitarre adoperate dall’olandese non si sono mai distinti per questa caratteristica. Un’eccessiva potenza d’uscita, infatti, sarebbe andata a scapito della dinamica e dell’espressività e quindi dell’intelligibilità di ritmiche e fraseggi. Una volta raggiunto il risultato sonoro, Eddie decise di dare una rinfrescata allo strumento, riverniciandolo e apponendo delle strisce nere su fondo bianco
 
A livello meramente tecnico non possiamo non parlare del tapping. Suddetta tecnica, intesa come l’emissione di note mediante la pressione delle dita della mano destra sulle corde non è, come molti erroneamente credono, un’invenzione di Van Halen e non è neppure da ascrivere all’italiano Vittorio Camardese, del quale girano alcuni video sulla rete. Il primo esempio, filmato e registrato, che ne mostra l’uso su uno strumento a corde sembrerebbe ricondurre all’americano Leroy Smeck, virtuoso dell’ukulele. Tuttavia, è stato certamente Van Halen a introdurla su larga scala con il brano manifesto Eruption, che all’epoca sconvolse letteralmente il mondo della chitarra elettrica. Non dimentichiamoci che stiamo parlando del 1978!
 
Sono tante le canzoni dei Van Halen, oltre alla sopraccitata Eruption, che rimarranno per i motivi più diversi nella storia della musica. Impossibile non citare ad esempio You Really Got Me, una cover in realtà dei The Kinks, riletta in modo assolutamente personale. Il brano più noto a livello mondiale della band è senza dubbio Jump (1984) - di cui Eddie in persona scrisse l’immortale riff - che inizialmente il resto dalla band non prese nemmeno in considerazione, non intuendone l’effettiva potenzialità. Jump riveste, in realtà, un’importanza storica enorme: si tratta della prima canzone hard rock nel quale siano stati inseriti i sintetizzatori, che la connotano pesantemente rendendola riconoscibile in maniera istantanea. Questo articolo non vuole comunque essere una carrellata delle composizioni più rappresentative dell’artista, per il quale esiste una discografia alla quale attingere: partire dal The best of potrebbe essere un buon modo per approcciarvisi.

Ancora Steve Vai: «Eddie è riuscito a toccarci grazie al suo “orecchio interiore”. Le canzoni erano semplici e allo stesso tempo toccanti. Si percepisce la dolcezza della sua personalità – a volte poteva essere parecchio intenso, certo –, una cosa che ho visto anche conoscendolo personalmente. La sento spesso, persino nei cambi d’accordi di Jump». Vogliamo ricordarlo così, riconoscendone l’impareggiabile lascito musicale e umano, immenso come la dolcezza del suo sorriso.
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