Divide et impera - InEsergo

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14 Giugno 2020 - Attualità

Storia e attualità di una strategia manipolativa sempre vincente
 
Divide Et Impera
 
Pare che re Filippo II di Macedonia, ben prima di Cristo, avesse compreso il giochetto. È a lui che la tradizione attribuisce il motto divide et impera, una strategia del potere semplice semplice: si dividono gli avversari politici o i dissenzienti in genere in due opposte fazioni, allo scopo di indebolirne la forza e continuare a mantenere agevolmente lo scranno. Sin dalla notte dei tempi le vie della manipolazione si sono lasciate preferire a quelle dell’autoritarismo. Qualsiasi despota o potere autocratico o democratura in genere sa perfettamente che la repressione violenta non produce risultati nel tempo: a un’azione corrisponde una reazione di uguale valore, sempre, con un debito corrispondente troppo cospicuo da solvere nel medio periodo. Molto più funzionale una strategia manipolativa dolce, come Aldous Huxley aveva ben tratteggiato nel suo Il Mondo Nuovo quasi un secolo orsono: si polarizzano scientemente opinioni e comportamenti, dando l’idea della libertà e di una parvenza di felicità e benessere, in una sorta di Truman Show dove nulla è in realtà come sembra. Il tutto è falso, il falso è tutto cantava il compianto Giorgio Gaber. E poi, come nel mito della caverna di Platone, se anche qualcuno scoprisse la Verità, una volta tornato indietro a raccontarla ai suoi sodali potrebbe rischiare di essere inertizzato, in quanto pericolosissimo sovversivo.  

Oggi la strategia del divide et impera s’è fatta particolarmente sottile e pervasiva, diremmo confusiva, assumendo dinamiche assai sfaccettate e complesse da decifrare. La narrativa dei due soggetti contrapposti (il Potere e chi lo incarna da una parte, i suoi oppositori dall’altra) pare ai tempi nostri non solo vetusta ma perfino ingenua. La complessità del reale e la moltitudine dei soggetti coinvolti - che la finalità sia mantenere lo status quo oppure sparigliare le carte in tavola - s’è fatta naturalmente proporzionale al livello di istruzione medio della popolazione e alle molteplici sfumature di un mondo interconnesso e digitale. Un mondo nel quale chiunque può accedere a tutto lo scibile tramite i sei pollici dello schermo di uno smartphone, in cui sembrerebbe facilissimo individuare e smascherare qualsiasi tentativo di raccontare la realtà a fini diversi da quelli cronachistici. Ciò che rispetto al passato non sembra affatto cambiato sono piuttosto i rapporti di forza: la moltitudine della massa teoricamente cogitante e pronta a partire lancia in resta per difendere i propri diritti rappresenta ancora oggi un potenziale e sempre vivido pericolo per l’oligarchia dominante, visibile o meno. Ecco allora che l’adozione di specifiche e anche ben riconoscibili tecniche manipolatorie diviene essenziale. Una di queste, perché sono molteplici e sciorinarle tutte andrebbe molto oltre le finalità divulgative di questo articolo, è proprio il sopraccitato e storicamente noto divide et impera, perfettamente aggiornato ai tratti tecnomorfi e algidi di una società che si esprime per lo più digitalmente, spesso dando il peggio di sé, col conforto rassicurante dello schermo in vece dell’interlocutore in carne e ossa. Tutti leoni da tastiera, infatti.

Soprassediamo pertanto alla logica del problema-reazione-soluzione ben delineata da Noam Chomsky, ovvero alla strategia per la quale si crea un presupposto tramite cui viene suscitata una reazione che giustifica provvedimenti che in condizioni normali, ovvero senza il presupposto iniziale, mai verrebbero né legiferati né tantomeno accettati. Soprassediamo anche alle metodologie divulgative dei media mainstream, che risultano ormai al soldo di pochi potentati - peraltro collegati tra loro - con buona pace della pluralità dell’informazione e della democrazia. Arriviamo pertanto allo stadio finale, quello cioè della notizia confezionata e pronta da dare in pasto all’opinione pubblica. News accompagnate da un titolone spesso fuorviante, sempre comunque semplificante e schematico, che già rappresenta uno scoglio insuperabile o volutamente insuperato per la stragrande maggioranza delle persone. Ci sarebbe qui da porsi il vecchio paradosso dell’uovo e della gallina: sono i media ad aver abituato i propri lettori a non andare oltre le prime due righe, a fomentare quell’analfabetismo funzionale che tanto comoda a chi detiene le redini del gioco, oppure è l’opinione pubblica che in preda a una sorta di narcolessia collettiva induce gli organi di comunicazione di massa ad adottare siffatte metodologie comunicative? Lasciamo la domanda senza risposta. Ciò che qui ci importa è quello che accade da questo punto in avanti.

La notizia è così servita, già adeguatamente e opportunamente banalizzata, scarnificata. Tutte le premesse per il divide et impera sono state adeguatamente poste. Il teatrino dello scannatoio tra opinionisti profumatamente pagati e, in ultima istanza, quello tragicamente reale tra la gente comune, sono le logiche conseguenze. Soprattutto se in ballo vi è un sentire condiviso, molto forte emotivamente, in grado di incidere sulla vita e le abitudini delle masse. Naturalmente anche pulsioni naturali e assolutamente legittime come il rifiuto, la ribellione, l’indignazione e la rivolta vengono ricondotte a questa logica bipolare, buona per il derby allo stadio, di fatto disinnescandole nella loro potenziale spinta destabilizzante. Proprio come due opposte tifoserie si contrapporranno sulla base non di una ponderazione razionale, ma, giustamente, su quella di un amore irrazionale verso i colori della propria squadra, affine ai moti primordiali dell’arena e del conflitto, così faranno le persone comuni anche nella realtà: con la piccola e non proprio insignificante differenza che la complessità del reale comporta infinite sfumature intermedie e non la semplice coesistenza contrapposta di due differenti tonalità. Ma ecco che in questo prendere posizione per l’una o per l’altra fazione, in questo banalizzare ogni tematica a una questione di buono o cattivo, giusto o sbagliato, vero e non vero, il disegno è compiuto. Il popolo perderà totalmente di vista il reale motivo del contendere, il nemico da combattere, il vulnus della questione, impegnando le residue energie a combattere il vicino prossimo, perculato in egual misura dall’identico sistema manipolativo che lascerà sic stantibus rebus i registi dietro alle quinte a ordire indisturbati, mentre un manipolo di comparse occuperà la scena fornendo agli astanti l’illusione di assistere allo spettacolo effettivo. Divide et impera, appunto.

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