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05 Gennaio 2021 - Attualità

Comprendere la manipolazione divisiva della realtà per salvaguardare il pensiero critico e superare le contrapposizioni
  
Mass Diaboli Media
 
“Gli uomini sono fatti in modo da doversi necessariamente tormentare a vicenda”
Fëdor Michajlovič Dostoevskij
 
“Il mondo è un grande tempio dedicato alla discordia”
Voltaire

“Quando il gregge si sbanda, il lupo acciuffa sempre qualche pecora”
(Proverbio)

Diciamocelo francamente, il giochino è svelato. Ormai è talmente palese che chi non riesce a coglierlo non so che problemi abbia. C’è qualcuno che gode profondamente a metterci gli uni contro gli altri. Diabŏlus, colui che divide. No, non presagisco tratti apocalittici in ciò che stiamo vivendo, o forse in parte sì, ma non mi interessano le chiavi di lettura escatologiche perché non avrei le competenze di sviscerarle. Se vi sentite afflitti o depressi chiedete conforto al vostro prete di fiducia, se ne avete uno, a un buon psicologo, magari a un maestro spirituale. Ma una piccola gratificazione potreste già cominciare a concedervela: smettete di farvi agganciare dalle eggregore allestite a tavolino dai mezzi di comunicazione di massa. Non tutti, ci sono molti giornalisti che malgrado mille difficoltà non accettano di scendere sotto una ragionevole soglia di compromesso. Ma il sistema, nel suo complesso, è marcio fino al midollo. Sapete cos’è un’eggregora? È una forma pensiero che nell’occultismo, una volta creata, si comporta come entità che vive di vita propria nutrendosi dell’energia psichica di chi la alimenta. Cioè la nostra.

Non siamo allo stadio. Lì il tifo ha un senso e come è ben noto il tifo non è propriamente una pulsione razionale. Bianchi e neri, gradinate opposte, non c’è alcun dialogo, nessuna mediazione: se vi fosse lo spettacolo cesserebbe di esistere. Al termine della tenzone vincerà il più forte (o il più furbo) e una fazione tornerà a casa scornata. Nella realtà non funziona così. Nella vita di ogni giorno è sempre e solo una questione di sfumature intermedie, di mediazione, di interpunzione del discorso. Eppure, quando proviamo a informarci su ciò che accade intorno a noi, abbiamo automaticamente il sentore di essere stati catapultati nel bel mezzo di un derby calcistico. Puntualmente ci schieriamo, cascandoci come il topo col formaggio: peccato che subito dopo scatti la trappola. Le tecniche auree della manipolazione sono sempre le stesse. Si crea un frame su un argomento, una cornice valoriale tanto più efficace quanto emotivamente e intimamente coinvolgente, e una volta che l’inoculazione mentale è stata portata a compimento, su quell’argomento l’opinione pubblica saprà automaticamente e acriticamente distinguere tra bene e male, giusto e sbagliato. Manicheismo e dualità sono appunto strumenti diabolici. Su questo tema anche lo pseudo decalogo Chomsky è inequivocabile (e per favore evitate di obiettarmi che non è autentico perché non ha alcuna importanza ai fini del discorso): utilizzare il registro emozionale - la paura anzitutto, che è un moto ancestrale - manda in corto circuito il senso critico dell’individuo e lo rende maggiormente predisposto a spalancare gli anfratti subconsci, che possono così accogliere con minori resistenze le istruzioni sul da farsi.

Questa modalità di buttare tutto in caciara, applicando di fatto la vecchissima e sempre attuale strategia del divide et impera, permette naturalmente a chi tesse le fila di restare in disparte, agendo indisturbato, mentre il popolino procederà a scannarsi a colpi di slogan al veleno e battute mordaci. Ne abbiamo sotto gli occhi proprio in questi giorni un esempio eclatante: lungi da me qualsiasi valutazione scientifica sul vaccino BioNTech/Pfizer contro il SARS-CoV-2, ciò che mi interessa è piuttosto evidenziare come attorno all’epifania di questa sorta di modernissima arca di Noè sia stato mediaticamente costruito proprio quel frame emozionale volto a simboleggiare l’idea del bene supremo venuto a liberarci dal male. Dal trionfalistico reportage del camioncino dei surgelati scortato attraverso il Brennero la mattina di Natale fino all’Italia che rinasce con un fiore (la primula), tutto è stato concepito per far leva sulla pancia dell’uditorio, indeciso se puntare le sue celebrazioni (tradizionalmente) sulla nascita di Gesù Bambino o se deviare (più laicamente) su quella di Gesù Vaccino.

Pazienza se l’idea di appuntare una primula sul petto di chi aderirà alla campagna vaccinale, con l’intento di mettere in imbarazzo e isolare chi il fiorellino non mostrerà (Marco Venturini. “Vaccino Covid, lo spot punta su alcune leve persuasive. Per questo funziona”. Il Fatto Quotidiano, 14 dicembre 2020), rimanda sinistramente alla Stella di David con cui si identificava il popolo ebraico durante la shoah. Pazienza se sul sito governativo dell’AIFA si legge molto candidamente che “i vaccinati e le persone in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti COVID-19”, che “essere vaccinati non conferisce un ‘certificato di libertà’” e che occorre più tempo per “dimostrare se i vaccinati si possono contagiare in modo asintomatico e contagiare altre persone”. Pazienza se tutto ciò dimostra che, a oggi, non abbiamo semplicemente dati sufficienti per sviluppare tautologicamente la deduzione vaccino uguale immunità di gregge, come invece tromboneggia chi vorrebbe rendere obbligatoria la prescrizione vaccinale richiamando l’art. 32 della Costituzione e lo stato di salute degli altri. Pazienza se nel consenso da firmare al momento della somministrazione l’ultimo punto recita testualmente che “non è possibile al momento prevedere danni a lunga distanza” perché effettivamente le cose stanno così. E pazienza anche se qualcuno mi taccerà di appartenere alla frangia di quegli irresponsabili no-vax, cresciuti all’università della vita e allevati al motto del noncielodicono, per aver evidenziato questi elementi oggettivi e incontrovertibili. Da buon apota, persuaso socraticamente dall’idea del dubbio quale formidabile strumento di conoscenza, preferisco correre il rischio. E quando avrò voglia di identificarmi con le forze del bene in contrapposizione a quelle del male mi reimmergerò nell’epopea di Star Wars e di Luke Skywalker.  

Appare dunque evidente che scindere l’opinione pubblica in opposte fazioni, già nel modo stesso di presentare la notizia, sia funzionale da una parte al mero consumo di energia psichica (i sostenitori dell’una e dell’altra tesi combatteranno una guerra tanto accalorata quanto del tutto inutile), dall’altra ad affogare ogni tentativo di dibattito pacato in un moto peristaltico che ha ben poco di razionale e scientifico. Si assiste infatti non a un confronto equanime tra degni sostenitori di tesi divergenti, ma a una semplice professione di fede mossa dal principio di autorità (non necessariamente di autorevolezza) e dalla reiterazione propagandistica di mantra e slogan. Questo continuo asservimento a logiche di potere che nulla hanno a che vedere con la deontologia giornalistica, questo bombardamento di informazioni e provvedimenti apertamente in contrasto tra loro, funzionale al caos, sono la pietra tombale del pensiero libero e critico. Sono come un rumore di fondo che ha inquinato gli spazi per leggere, parlare, discutere, complici anche i provvedimenti di distanziamento sociale che ne hanno virtualizzato forme e sostanza. L’autonomia di pensiero non può scaturire da relazioni eteriche o messaggini digitali. Eradicando dubbi e perplessità, spargendo solo consolatorie certezze, si procede a passi spediti verso l’annientamento della libertà e dell’indipendenza intellettuale, affogando qualsiasi potenziale slancio innovatore e rivoluzionario in un conformismo scipito e all’acqua di rose, politicamente corretto.

Immerso in questo grande carnevale, dove si parla e si scrive di qualsiasi materia, mentre torme di retori virtuali ingombrano cristalli liquidi densi di pixel scannandosi tra loro e le piazze e le strade rimangono desolatamente deserte, vorrei fare come John Cage e comporre anche io una 4’33”: quattro minuti e trentatré secondi di pause e, quindi, silenzio. Che poi il silenzio assoluto in natura non esiste, ma solo il non-suono, la non-parola. Tutto il resto è rumore ambientale, di fondo. Cage ebbe più volte modo di affermare che 4’33” non è una rappresentazione del silenzio, ma una composizione fatta di rumori accidentali e in quanto tale un atto di ascolto. Ecco. Sogno atti d’ascolto sempre più frequenti, silenzi profondi, sospensione del giudizio e dell’opinione. Se il Diabŏlus è colui che divide, noi non dovremo cedere alla tentazione: uniti resistiamo, divisi cadiamo gridava Pink al di là del muro watersiano, metafora folgorante e ante litteram di ciò che stiamo vivendo. Una serie infinita di muri eretti chissà come, con lo scopo di illanguidirci e annientarci: andiamo oltre, abbracciamoci. O almeno non odiamoci. Rispettiamo il percorso di vita di ciascun individuo. Nel dubbio, restiamo umani. Ai posteri spetterà l’ardua sentenza.  

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