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14 Novembre 2024 - Attualità

L’intelligenza artificiale tra progresso e distopia
 
Creatori artificiali
 
“Nessun calcolatore della serie 9000 ha mai commesso un errore o alterato un'informazione. Noi siamo, senza possibili eccezioni di sorta, a prova di errore e incapaci di sbagliare”
HAL 9000 in 2001: Odissea nello Spazio.

Sono passati 55 anni dal capolavoro di Stanley Kubrick. L’avvento dell’Intelligenza Artificiale nelle nostre vite è ormai un dato di fatto, e una I.A. che si propone di aiutare e coadiuvare l’uomo nelle sue attività produttive, nello studio e nell’intrattenimento, è ormai alla portata di tutti. Ugualmente, è alla portata di tutti una I.A. capace di produrre contenuti creativi: possiamo elaborare musica, immagini, opere che spaziano dalle tele in stile cinquecentesco al dadaismo in pochi secondi e con pochi clic del mouse.
 
Scienziati, investitori e teorici, che aderiscono a uno sfrenato tecno-ottimismo sugli sviluppi dell’I.A., ci prospettano un futuro in cui, nell’ambito della I.A. generativa e creativa, l’uomo avrà il solo compito di decidere, di operare la scelta tra le opere che l’I.A. potrà realizzare. L’uomo come decisore finale, come giudice di un gusto estetico generato da una macchina. Saremo sempre meno esperti nella realizzazione concreta delle cose, sempre meno abili nel concepire e compiere opere che alla fine non sapremo più realizzare, fino ad arrivare al punto in cui l'uomo, privato dei mezzi e delle competenze che portano alla sapienza, accetterà anche le scelte fatte dall’intelligenza artificiale stessa.
 
Un futuro certamente distopico. E per il padre creatore dell’I.A. è urgente provvedere a regolamentazioni sull’uso della stessa. Lo scienziato informatico Raymond Kurzweil afferma con decisione che, entro la metà di questo secolo, ci fonderemo con l’I.A. e aumenteremo noi stessi, collegando la nostra mente a un’intelligenza artificiale con una potenza di calcolo milioni di volte superiore a quella che ci ha dato la nostra biologia. In contrapposizione a questa visione, Geoffrey Hinton (pioniere dell’intelligenza artificiale e premio Nobel 2024 per le reti neurali), insieme ad altri 14.000 esperti del settore, ha firmato un documento che chiede una moratoria di sei mesi per le ricerche e gli sviluppi dell’I.A., specialmente in merito ai rischi legati alla sua crescente potenza e autonomia.
 
Hinton teme che gli esseri umani possano perdere il controllo su sistemi sempre più potenti e autonomi. Si corre il rischio che tali sistemi sviluppino strategie o obiettivi indesiderati e inaspettati, sfuggendo al controllo umano. Questa problematica, nota come il problema dell’allineamento, mostra quanto sia difficile assicurarsi che le I.A. rispettino sempre i nostri valori e obiettivi: ad esempio, la generazione di contenuti multimediali, già oggi in grado di creare falsi assolutamente realistici, potrebbe essere facilmente usata per una propaganda ingannatoria, manipolare l’opinione pubblica su larga scala e mettere a rischio la democrazia. Inoltre, con il controllo di armi sempre più autonome, tali sistemi potrebbero essere utilizzati nei conflitti senza il controllo diretto umano, portando a conseguenze imprevedibili e potenzialmente catastrofiche.
 
L’I.A. non potrà mai guidarci nell’esplorazione e nella conoscenza di ciò che ci circonda in natura, di ciò che stimola piacevolmente i sensi, come il profumo di un fiore o la magnificenza di un tramonto. Non potrà comprendere ciò che solo l’esperienza sensoriale del nostro corpo può percepire. La sua enorme capacità di elaborazione dati non potrà mai eguagliare l’esperienzialità, che è caratteristica unica delle specie viventi. L’I.A. non è vivente, e noi umani non possiamo di certo paragonarci o rapportarci a qualcosa che non vive, non respira, non ha empatia verso il mondo e non può emozionarsi. Una macchina identica a tutte le altre, perfetta, collegata in reti che consentono ai computer un apprendimento esponenziale; ma, per l’appunto, incapace di possedere l’unicità tipica dell’essere umano, dell’essere vivente.
 
Questa unicità fa parte della natura spirituale dell’uomo, che ha sviluppato nei secoli l’abilità di esprimere la creatività nelle varie forme artistiche: la vediamo nelle grotte di Lascaux dell’età della pietra, in Michelangelo, Caravaggio, Bach, e così via. Mettiamo dunque un punto fermo sul fatto che l’opera d’arte vive ed è permeata dell’essenza stessa dell’artista: delle sue notti insonni, della sua vita più o meno sregolata, dei suoi eccessi, delle sue visioni, degli accadimenti della vita che mai possiamo prevedere.
 
Nella fase creativa, abbiamo non solo spunti e impennate di eventuale genio nell’opera che stiamo generando, ma anche ripensamenti, riflessioni, sviluppi di idee che magari possiamo portare in altri ambiti della nostra vita. L’atto creativo è una forma espressiva totalizzante per l’artista. L’uomo che delega alla macchina la creatività porta automaticamente alla distruzione della figura dell’artista, del creativo, dell’essere umano che esprime se stesso nell’arte.
 
L’arte non è una valutazione finale di un risultato, ma il gesto stesso, il mentre dell'esecuzione, il pensiero che l’ha concepita. Un robot che genera una pseudo-arte non racconta un'emozione, ma la calcola basandosi su dati preimpostati. La confeziona, e ciò che ne deriva non è il racconto dell'esperienza umana; non è l’uomo che si rivela, che si racconta e ama raccontarsi, che plasma l’opera con le sue mani, con il proprio sudore, con l’intuizione e le competenze raggiunte in anni di studio e pratica.
 
Non ponendo una barriera etica nella progettazione di questi nuovi strumenti, con un approccio che, sotto la bandiera del progresso, porta avanti prevalentemente la logica della competizione, il futuro appare poco promettente. Si parla solo di capacità produttiva, di produttività delle macchine, di quantità, e non di ciò che per l'essere umano è importante e che spesso sfugge al controllo razionale: la qualità del proprio sentire e del significato di ciò che ci circonda.
 
Forse, oggi, per mettere un freno a questa tecno-follia, dovremmo rivedere il nostro approccio alla vita, facendolo passare da competitivo a collaborativo. Invece di puntare sempre e solo sulle scoperte tecnologiche, siamo ancora in tempo per volgere l’attenzione su come evolvere eticamente come individui, su come sviluppare un nuovo modello di società in cui la modalità egoico-bellica (cit. Marco Guzzi) sia sostituita da una società in cui prevalga la cooperazione.
 
Una società in cui l’individuo sia apprezzato proprio per quella unicità che si esprime attraverso la creatività che alberga in ognuno di noi, nell’espressione dei talenti, che è quanto di più importante per l’essere umano.
 
Ora, avrei concluso il mio articolo… ma voglio togliermi il capriccio... lo immetto dentro ChatGPT, ho la curiosità di metterla alla prova, magari c’è qualche refuso…
 
Pochi secondi e mi appare questo:
 
“Il testo mantiene un'argomentazione forte e una struttura coerente, trattando temi di grande attualità in modo equilibrato”.

Grazie ChatGPT, ma non avevo di certo chiesto la tua approvazione sui contenuti.



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