Il favoloso mondo dell'ingenuista - InEsergo

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09 Settembre 2020 - Attualità

Psicologia e sentire comune di chi rifugge ogni complotto
  
Il favoloso mondo dell'ingenuista
 
La premiata e indimenticata coppia Gaber/Luporini, ormai più di vent’anni fa, lo chiamava il conformista. Oggi, sebbene l’epiteto non possa certo dirsi passato di moda, dal conformismo (culturale, etico, sociale e finanche politico) s’è declinata una nuova figura, pittoresca quanto sublime: l’ingenuista. L’ingenuismo peraltro è un neologismo utilizzato raramente, del tutto sbilanciato a favore del ben più noto e celebrato complottismo, dalla cui categoria discende un florilegio di personaggi sinistri quanto disdicevoli, rispetto ai quali i media (ma concedetemi la preferibile dicitura “i padroni del discorso”) hanno mostrato acume immaginifico non da poco: no vax, no mask, bufalari, terrapiattisti, negazionisti e via dicendo. Insomma, una serie di loschi figuri la cui esistenza sembra minare le fondamenta stesse della società e del vivere civile. La tua libertà finisce dove inizia la mia, è l’espressione più aggraziata che può capitare di leggere in quella cloaca a cielo aperto che sono divenuti i social: sempre a causa dei comportamenti deliranti del complottista, naturalmente. Eh sì, perché i tratti paranoidi di costui, da bizzarro e compassionevole disturbo, sono ormai ascesi allo status di spauracchio suicidario da reprimere a ogni costo.

L’espressione teoria del complotto in realtà vanta un passato onorevole. Utilizzata per la prima volta dalla CIA nel 1967 in un dispaccio riservato, indicava un’operazione di scredito nei confronti di chiunque s’azzardasse a mettere in dubbio le conclusioni ufficiali a cui giunse la Commissione Warren circa l’assassinio del presidente John F. Kennedy: nessuno poteva sospettare della colpevolezza del solo e unico Lee Harvey Oswald, pena la ghettizzazione e il pubblico ludibrio per mano soprattutto massmediatica. Nella nostra epoca in realtà le etichette appioppate con disarmante facilità sono funzionali a una più complessa e costante banalizzazione del reale, nell’ottica ovviamente di mettere gli uni contro gli altri, affogando le infinite sfumature intermedie che possono effettivamente esservi tra un malato di mente e chi semplicemente si arroga il diritto di obiettare. Non bastava infatti criminalizzare il dissenso: oggi si procede direttamente a patologizzarne i tratti, invocando il Tso per chiunque professi opinioni o adotti comportamenti ritenuti pericolosi per la salute pubblica. Curioso che tanto amabile accaloramento non si sia mai intravisto in precedenza, magari per attività pubblicamente riprovevoli, oggettivamente dannose e potenzialmente mortali, come lo spaccio di droga o la guida in stato di ebbrezza. Ma procediamo oltre.

Al netto di chi soffre effettivamente di disturbi della personalità, di manie di persecuzione, di comportamenti disfunzionali, oppure di chi più banalmente si bea nella sua ignoranza di teorie alternative senza alcuna capacità di discernimento, per i padroni del discorso il complottista è un soggetto che utilizza la dietrologia come status, come leva psicologica per alimentare una delirante autostima e dunque illudersi circa le proprie capacità di ragionamento. Costui insomma non sarebbe soltanto una personalità disfunzionale per il semplice fatto di distaccarsi (più o meno lecitamente) dalla narrativa dominante, un invasato pregno di manie di onnipotenza, ma un vero e proprio psico terrorista da avere in odio e da cui dissociarsi aprioristicamente, rifuggendo qualsiasi confronto.

Ma dall’altra parte della barricata, tronfio delle sue sicurezze e di chiari che non sfiorano mai gli scuri, ecco emergere il vero protagonista di questi tempi: l’ingenuista. Egli è un po’ conformista e molto ordinario, rassicurante nel procedere, sempre sul pezzo e sempre al sicuro. Ineffabile. Impossibile discutere con un ingenuista, a meno che i vostri pensieri non coincidano esattamente con i suoi: le granitiche certezze di cui fa regolarmente sfoggio, frutto del convenzionale ammassarsi nella sua testa dei concetti più ribattuti e quindi inculcati a forza, scevri di ogni analisi critica e accolti semplicemente perché appannaggio del comune sentire, vi metteranno all’angolo e non vi sarà possibile intavolare alcuna interlocuzione. Il suo profilo psicologico è radioso: costui crede che esista un’unica Verità rivelata, che il mondo vada esattamente come appare e che ciò che quotidianamente apprende dalle fonti di informazione corrisponda esattamente alla meccanica del reale. Per lui non esiste alcuna narrazione ufficiale: se esistesse ve ne sarebbe anche una sottotraccia, il che implicherebbe a sua volta una prospettiva patologicamente dietrologica.

L’ingenuista ignora completamente l’esistenza di un backoffice, elemento semplicemente comprovato dalla storia, anche recente, anche del nostro paese. Come fare a spiegargli, ad esempio, che ci vollero trentatré anni acché la terza sezione civile della Corte di Cassazione mettesse nero su bianco, nelle sue motivazioni a condanna dello Stato italiano, che fu un missile ad abbattere il DC9 a Ustica e non il tanto decantato cedimento strutturale che all’epoca fece fallire la compagnia aerea Itavia? O come ragguagliarlo sulle conclusioni della seconda commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Aldo Moro, istituita nel 2014, circa la presenza di soggetti terzi – oltre alle BR – in Via Fani quel 16 marzo del 1978? Non saprebbe rispondere, magari sciorinerebbe il tipico argumentum ad hominem di chi attacca per difendersi. Perché questo fa l’ingenuista: appellarsi dogmaticamente alla scienza e all’autorità, difenderne il Verbo, proteggere le proprie insicurezze e scacciare la paura dell’ignoto aprendo il caldo ombrello di una fede laica oltreché pagana. Come il complottista sonda la realtà alla ricerca sistematica di una fregatura, così l’ingenuista si ferma alla superficie dell’acqua, convinto e beato delle sue opinioni. E pazienza se quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire, giusto per citare ancora il compianto Giorgio Gaber.

In realtà, per fuggire finalmente la dialettica delle etichette e delle contrapposizioni ad arte, occorrerebbe recuperare lo spirito critico e il pensiero. Non è proficuo né idoneo mettere in dubbio ogni cosa ma neppure bersi tutte le stupidaggini come oro colato. È difficile, si sa, restare in una bambagia apocrifa e tormentata, assillati da più domande che risposte. Eppure, la condizione dubitante andrebbe socraticamente riscoperta come proficuo strumento di conoscenza piuttosto che intesa a mo’ di crogiolo dell’umano eternamente incompiuto. La metodologia del tifo contrapposto, applicata soprattutto alle questioni emotivamente coinvolgenti, è funzionale infine a lasciare agire i macchinisti nell’ombra. Dietrologia? Affatto. Così va il mondo. Da sempre il potere traffica e complotta dietro le quinte per mantenere il suo scettro ai danni di qualcun altro. A noi plebaglia lascia le briciole, anche neuronali: quelle della signora di Mondello, ad esempio, ormai influencer di più di centosessantamila followers, divenuta famosa per la sentenza, sofistica ed epocale, del non ce n’è coviddi. Chissà se anche lei sventagliava l’andrà tutto bene di patriottica ispirazione. No, non andrà tutto bene. Ma non ditelo all’ingenuista: potrebbe averne a male.  

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