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06 Giugno 2021 - Attualità

Max Siedentopf e la distruzione del silenzio nel deserto del Namib
 
Africa dei Toto
 
È il 2019 (anno che più passa il tempo più tendiamo a rivalutare): Max Siedentopf ha avuto un'idea, ha preso delle batterie solari, un lettore Mp3 ed è andato in Africa, più precisamente nel deserto della Namibia (senza però rivelare la posizione precisa) e ha deciso che “Africa dei Toto” suonerà all'infinito.
 
Max Siedentopf, che nella vita è fotografo e designer, si è impuntato a fare come uno che vuole suonare il corno francese soltanto per rompere le scatole ai vicini di casa, ha squarciato il silenzio del deserto namibiano: la scelta del pezzo musicale è incontestabile, ci mancherebbe, dico solo che poteva andare meglio, anche se sicuramente poteva andare molto peggio.
 
Quello che fa riflettere è la rottura del silenzio. Il silenzio non ci appartiene più, lo riempiamo di cose per evitare di farci sopraffare, se non è silenzio interrotto da suoni è silenzio interrotto da parole scritte sui social, che è un altro modo di parlare troppo perché anche le parole scritte riescono a essere fastidiose, come unghie sulla lavagna. Il fatto è che di silenzio ne abbiamo sempre meno e ne servirebbe di più, ci manca il silenzio quando non lo percepiamo da tanto, ci manca come il tempo sprecato con il trecentesimo hobby della nostra vita come fossimo dei piccoli Fantozzi irrisolti.
 
Per esempio, in questo preciso momento in Namibia, mentre sto scrivendo e quindi rompo il silenzio, in un luogo di cui vorrei tanto avere le coordinate per cercarlo su Google Maps, starà risuonando “Africa dei Toto” più o meno per la milionesima volta, come un’onda che interrompe continuamente gli attimi di calma, come la smania che abbiamo di dire la nostra, di puntualizzare, di correggere i verbi. Le nostre povere teste sono come il deserto della Namibia in cui risuona “Africa dei Toto” all'infinito, ancora, ancora, ancora, e siccome il destino è beffardo e tende pericolosamente ad accanirsi, le batterie dell'installazione del simpatico Max sono a energia solare e in Africa mancano sicuramente moltissime cose ma non il sole - e il senso del ritmo, per citare una vecchia canzone. “Africa dei Toto” sta lì a distruggere la calma, a farla a pezzi e deturparla, a rendere perfettamente inutili tutti gli esercizi di respirazione che abbiamo con tanta fatica imparato su Internet.
 
Oltre a un esercizio fastidioso riesce allo stesso tempo anche a essere un brutto gioco di ruolo, di quelli che nemmeno tra le coppie più annoiate: continuiamo imperterriti a essere "Africa dei Toto" perché ci confondiamo i timpani con le nostre iperstimolazioni e troviamo sempre nuovi modi per incazzarci, indignarci per cose che spesso non sono nemmeno vere e sono anzi confezionate ad arte per farci arrabbiare picchiando sulla tastiera, a casaccio, per poi davanti a uno spritz farci fare le prediche da qualcuno che in un guizzo di originalità dirà con fare saggio che siamo schiavi dei cellulari e che prima si viveva meglio, quando ci si mandava lettere d'amore e si telefonava a casa della ragazzina e al telefono fisso ti rispondeva suo padre, che chissà perché non aveva mai la voce innocua di Mario Giordano. Sì, si viveva meglio prima, quando non avevamo niente, tutto molto bello e per lunghi tratti anche giusto, ma c'è un ma, un grosso ma, grosso come tutto il deserto namibiano: tutto questo ragionamento inappuntabile finirà inevitabilmente sullo stato di Facebook del genio di turno, Facebook che è sicuramente meno chic di Twitter, ma sostanzialmente siamo lì, su Twitter si userebbero soltanto meno caratteri. Anche lui avrà disturbato il deserto con “Africa dei Toto”, che sì, poteva andare peggio, ma non è Redemption Song e come minimo all'ennesima ripetizione ci può anche stare di non poterne più.
 
In mezzo a tutto questo disordine, a questo vociare indistinto, penso istintivamente al film Sound of Metal (vincitore di due Premi Oscar, N.d.R.), una storia che in più di qualche modo c'entra con il silenzio, la storia di un batterista che di colpo perde l'udito e deve perciò imparare a familiarizzare con nuove forme di comunicazione: è un viaggio doloroso durante il quale gli spettatori sono coinvolti anche in prima persona visto che per lunghi tratti il film li pone nella stessa condizione di disagio del protagonista, privandoli del sentire.
 
Siamo schiavi amiamo dire quasi sorridendo con finta rassegnazione. Io non ho nulla contro i social, sarebbe come avere qualcosa contro il pavimento, non ha senso, è uno spreco di tempo, dobbiamo solo imparare a usarli, ma come il protagonista di Sound Of Metal siamo ancora all’inizio, alla fase embrionale di una nuova forma di comunicazione. Se fossimo ominidi e i social fossero il fuoco ci bruceremmo continuamente le dita cercando di capire perché la fiamma sia così calda, e mentre lo facciamo, con molta calma, prendendoci tutto il tempo per evolvere da cavernicoli a persone che ragionano come si deve, continuiamo ad ascoltare ripetutamente “Africa dei Toto”, che non è esattamente Asleep degli Smiths o Karma Police dei Radiohead. Poteva andare sicuramente meglio, anche se sicuramente sarebbe potuto andare peggio, avrebbe potuto piovere e allora addio batterie solari.  

 
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