E quindi uscimmo a riveder le stelle? - InEsergo

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26 Marzo 2020 - Attualità

Dall’#iorestoacasa all’#andratuttobene. Indagine su una guerra senza bombe
 
E quindi uscimmo a riveder le stelle?
 
Non sono d’accordo con ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo
(Evelyn Beatrice Hall)

Strani giorni, viviamo strani giorni
(Franco Battiato)

In tutta sincerità, avrei fatto volentieri a meno di scrivere un seguito all’articolo precedente. Nessuno avrebbe pensato che nel giro di un mese e mezzo ci saremmo ritrovati in una situazione talmente surreale e orrorifica. Nessuno, forse, non è del tutto corretto. Evidentemente qualcuno dei sentori li aveva, se è vero – come rivelato da FoxNews.com – che l’intelligence americana sul finire dell’anno scorso aveva posto all’attenzione del governo italiano alcuni report relativi ai dati sulla diffusione del contagio in Cina, che presupponevano il serio rischio di uno scenario di epidemia planetaria. Ipotesi, a detta di un esperto di sicurezza residente a Roma e coperto da anonimato, bellamente classificata dal nostro governo come improbabile. D’altra parte, lo stesso virologo Roberto Burioni, che ogni domenica sciabola a senso unico dagli studi della trasmissione Rai “Che Tempo Che Fa”, il 9 febbraio scorso si espresse in termini decisamente ottimistici: “In Italia siamo tranquilli. Il virus non c'è. È lecito preoccuparsi solo per l'influenza”. Altri sentori erano evidentemente presenti anche tra gli investitori del più grande fondo speculativo al mondo, Bridgewater, che nel novembre 2019 scommisero in varie tranches la pantagruelica cifra di 14 miliardi di dollari sul crollo dei mercati europei nel marzo del 2020, e che ora è plausibile immaginare fare bisboccia tintinnando i calici sulle future macerie (anche) dell’Italia.

Da una parte stanno i virologi, gli infettivologi, i medici. A costoro non si può chiedere la visione d’insieme o la trama geopolitica. Correttamente, il loro compito è garantire la salute dei cittadini. Punto. Dunque, di fronte a un agente virale nuovo (ma dell’arcinota famiglia dei Coronavirus), non essendovi difese conclamate se non l’efficacia individuale del sistema immunitario, l’unica alternativa è azzerarne la possibilità di trasmissione. Certo, 37 miliardi di tagli alla sanità pubblica negli ultimi dieci anni non hanno esattamente aiutato. È chiaro ormai a tutti (al netto delle ansiogene approssimazioni massmediatiche) che il SARS-CoV-2 produce complicanze solo in una minima parte di casi. La grande maggioranza di chi lo contrae lo supera o in maniera del tutto asintomatica oppure manifestando sintomi completamente ascrivibili a un’influenza più o meno virulenta. Solo una quantità piuttosto esigua di persone (secondo l’Istituto Superiore di Sanità il 21.1% su un campione però inferiore a un terzo dei contagiati “ufficiali”) sperimenta insorgenze violente, al punto da richiedere il ricovero ospedaliero o, in una ancor più ristretta parte (4.6%), la terapia intensiva. Cifre minimali, certamente, ma al contempo troppo perniciose per un sistema sanitario pubblico fatto scientemente a pezzi nel corso degli anni al fine di privilegiare il privato. I decessi, poi, avvengono quasi esclusivamente a seguito di complicanze insorte per patologie preesistenti (in primis cardiopatie, ipertensione e diabete) e per lo più nelle fasce deboli della popolazione (tra i 70 e i 90 anni). Andrebbero valutate anche abitudini di vita e stato di salute generale, caso per caso: un accanito fumatore, ad esempio, anche se giovane e senza patologie, corre molti più rischi di altri a contrarre una malattia che potrebbe colpirgli i polmoni. Eppure, malgrado i freddi dati dovrebbero indicare qualcosa, anche tra gli esperti del mestiere si è assistito a giravolte straordinarie e al tutto contro tutti. Per carità, cambiare opinione in corso d’opera è più che ammissibile. Ciò che lascia atterriti, semmai, è la sussistenza di iridati collegi giudicanti (“Patto Trasversale per la Scienza”) che si ergono in difesa della presunta vera scienza, arrogandosi il diritto di azzittire e diffidare, con riferimento all’articolo 656 del codice penale, una professionista del calibro della dott.ssa Maria Rita Gismondo, direttrice del Laboratorio di virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano, o il nanopatologo Stefano Montanari, per essersi permessi il lusso di dissentire dal pensiero unico con dichiarazioni, a dire dei loro boia, troppo rassicuranti.
 
Dall’altre parte ci sono gli italiani. E gli italioti, se nessuno si offende. I primi vantano nel loro novero figure realmente eroiche: si diceva dei medici, mandati al macello senza deferenza alcuna, ma si dovrebbe dire anche di tutte le figure che stanno tenendo in piedi l’Italia semplicemente continuando a svolgere il proprio dovere, spesso in condizioni ineffabili. Poi ci sono i secondi, in buona parte adusi a fottere il prossimo, le regole e chi le propugna, a coltivare l’orticello, ad avere una visione d’insieme ampia quanto il salotto di casa. Oppressi, frustrati, ansiosi, arroganti, sardonici fuori e tremebondi dentro. L’italiota medio sfoga la sistemica angoscia nell’acquisto di beni inutili, nella spesa compulsiva atta a ribadire celoduristicamente, prima di tutto a se stesso, un qualche ruolo nel mondo. Entrambe le identità sociali nel giro di quindici giorni, a colpi di provvedimenti amministrativi costituzionalmente illegittimi e di videomessaggi su Facebook, hanno perso tutto: la libertà, l’identità del consumatore edonistico, in molti casi anche il lavoro e i relativi introiti. Sotto un cielo a tinte fosche, oppressi dalla paura inoculata ad arte soprattutto dai media, italiani e italioti si sentono ora spaesati, traditi, piombati rapidissimamente in un incubo di cui non si vede la fine. Si approvano il volteggio di droni controllori in deroga a tutte le norme vigenti (come nella distopia orwelliana di “1984”), le app di tracciamento, si incrociano i dati delle celle telefoniche per verificare gli spostamenti, si censurano i dissidenti. Nel nome dell’emergenza nazionale sono sopraggiunte la soppressione delle libertà costituzionali (personale, di circolazione, di riunione, di professione della fede religiosa), l’autocertificazione per fare la spesa o per visitare il genitore malato - col rischio dell’arresto in flagranza -, la contenzione per obbligo di legge. Non è tutto. Attraverso quella che di fatto si potrebbe definire un’applicazione accelerata della “Finestra di Overton”, adesso non solo si manifesta gradimento verso il regime dittatoriale in cui si è sprofondati con percentuali bulgare che non hanno precedenti nella storia repubblicana, ma si invocano anzi ulteriori limitazioni alla libertà, perché compiute per il nostro bene. Di delazione in delazione, dagli all’untore se un solitario podista attraversa il bosco o se il mentecatto cinese sotto casa s’approvvigiona della tua stessa aria. Ma quali effetti può ingenerare tutto questo? Quali conseguenze su organismo e psiche può indurre la detenzione forzata condita da un prolungato stato di terrore? La risposta arriva dalla stessa scienza, quella scienza che da una parte chiede il lockdown e dall’altra concorda sull’abbassamento delle difese immunitarie e sul rischio di gravi derive mentali e patologiche. Il virologo Giulio Tarro, uno dei più importanti al mondo, non ha alcun dubbio: “il panico non aiuta, anzi, il virus può trovare le porte spalancate perché le difese immunitarie si indeboliscono”. Perfino l’OMS ha confermato con una nota ufficiale che l’attività fisica, specie se eseguita all’aperto, sotto il sole - che è importantissimo per il rilascio della vitamina D, coadiuvante straordinario del sistema immunitario - è un fattore di autotutela determinante. Passare dal tutto al niente in pochi giorni non è facile: ci vuole un mondo interiore imponente, una centralità mirabile. Doti che non si conseguono dall’oggi al domani e non sono disponibili su Amazon. Questa vicenda è quanto di più simile alla guerra si potesse saggiare, ma con una sostanziale differenza: la dialettica non è chiara, non c’è un nemico, un invasore da una parte e un patriota, un difensore della sovranità nazionale, dall’altra. Qui l’aggressore è un’ombra, capace di incunearsi nelle crepe di una società opulenta e vitrea e di farla implodere.

In molti si interrogano su quale futuro porterà in dote questa tragedia. Io non faccio l’indovino, non ho partecipato all’Event201 dell’ottobre scorso a New York e non ho la vista sugli angoli bui come chi lo fa per mestiere. Però si respira un’aria per niente affine alla bonaccia. L’impresa realmente ostica dovrebbe essere individuare rapidamente un punto d’incontro tra esigenze sanitarie e diritti essenziali, altrimenti l’Italia potrebbe presto tralignare. Qualcosa di ancor peggiore del coronavirus si staglierebbe all’orizzonte. Nel frattempo, assistiamo al corso implacabile e glaciale della cosiddetta immunità di gregge: mentre stiamo tutti tappati in casa, negli ospedali e prima ancora di arrivarci si procede con la medicina di guerra, come su un campo di battaglia. Forse hanno previsto tutto, anche l’isteria collettiva, gli scoppi di rabbia, la folle follia di una vita da troppo tempo disumanizzata e ora definitivamente in emersione alla luce del sole. La nostra esistenza, sempre più affidata ad algoritmi e all’intelligenza artificiale, è divenuta un tavolo da gioco su cui è facilissimo puntare scommesse vincenti. E allora non ci resta che rimanere sulla riva del fiume, per opporci, fieramente umani, all’onda di piena.

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