Picnic ad Hanging Rock - InEsergo

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14 Ottobre 2020 - Cinema

L'onirica ascesa del cinema di Peter Weir nell'olimpo

Picnic ad Hanging Rock
  
Sta accadendo adesso. Come accadrà fino alla fine del tempo. La scena non cambierà mai. Per le quattro persone sulla Roccia la recita avverrà sempre nel dolce tramonto di un presente senza passato. La loro gioia ed agonia saranno nuove e senza fine.

Miranda, Irma, Marion ed Edith, quattro ragazze di un austero collegio vittoriano vicino a Melbourne, decidono di allontanarsi dalle loro compagne e di incamminarsi verso Hanging Rock. È il giorno di San Valentino del 1900, un pomeriggio afoso dell’estate australiana. Non vedendole tornare anche l’insegnante di matematica, Greta McCraw, si avvia verso le rocce. Solo Edith farà ritorno, in stato confusionale e in preda a un indicibile terrore, e solo Irma verrà ritrovata, ben otto giorni dopo i fatti, ancora viva ma svenuta, irta di escoriazioni, lividi sul volto e sulle mani, le unghie spezzate ma i piedi perfettamente intatti malgrado non avesse con sé né scarpe né calze.
 
Hanging Rock è un complesso roccioso di origine vulcanica, sito effettivamente in Australia, che gli aborigeni del luogo hanno sempre evitato perché ritenuto regno di spiriti e forze occulte. È il teatro delle vicende narrate nei diciassette capitoli di Picnic at Hanging Rock, romanzo della scrittrice australiana Joan Lindsay pubblicato nel 1967. Il testo è incentrato appunto sulla strana vicenda della sparizione di due giovani ragazze e della loro insegnante, corredata dell’articolo di un non ben identificato Giornale di Melbourne a testimonianza dei fatti. In realtà tutta la storia è frutto della fantasia della sua autrice, ma il pretesto non sarà finalizzato alla semplice narrazione di un giallo a tinte misteriche.
 
Nel 1975 il regista australiano Peter Weir conferisce una forma cinematografica all’opera della Lindsay, sfornando un capolavoro destinato a lanciare il cinema australiano nell’olimpo degli dèi; assieme al romanzo naturalmente, fino a quel momento rimasto essenzialmente sottotraccia. Il motivo va ricercato in un insieme di fattori, di cui paradossalmente il più importante è l’assenza di un finale vero e proprio. Esattamente come nel libro, il regista gioca magistralmente sull’eludere l’aspirazione del pubblico a una risoluzione della storia, spostando il fulcro sull’atmosfera fiabescamente sinistra che la pellicola sa sprigionare. Merito anche di una fotografia vellutata, che pur nei colori pastello prefigura la conturbante sparizione delle protagoniste, tanto più fosca e ferale in una cultura che coltiva l’indispensabile necessità di seppellire le salme dei propri defunti. Le ragazze potrebbero essere cadute in una fenditura profondissima della roccia, oppure incorse in un delitto a sfondo sessuale. Oppure ancora essere state vittime di un’esperienza esoterica o paranormale.
 
La colonna sonora è la chiave di volta che Weir utilizza per condurre lo spettatore nel suo sogno traslucido. Gli arpeggi pianistici di Bruce Smeaton e, soprattutto, il flauto di Pan del compositore rumeno Gheorghe Zamfir, tratteggiano atmosfere ipnotiche, mistiche, simboleggiando l’estatico potere che una natura selvaggia e del tutto incontaminata esercita sulle inconsapevoli protagoniste. In particolare il flauto di Pan, strumento le cui origini risalgono alla notte dei tempi, si adatta perfettamente all’atmosfera precristiana del paesaggio, di un mondo antichissimo le cui regole non sono note. È questa la stele di Rosetta del testo: un delitto che è in fondo metafora del male di vivere, contrapposizione tra una società rigida e castrante, ben rappresentata dalle ferree regole del collegio che limitano e inibiscono le tensioni (anche sessuali) delle giovani ospiti, e una natura dura, selvaggia, insondabile, eterna. Gli orologi che si fermano all’improvviso tutti a mezzogiorno, nell’ora in cui si spengono le ombre, segnano la vittoria di un'energia inesplicabile per una mente positivistica, la supremazia del Sacro e del Mito, il soccombere dell’uomo bianco e della sua filosofia meccanicistica davanti a un’essenza che può essere colta solo da spirito e intuito.
 
Sono naturalmente gli anni della musica e dell’introspezione, dei tempi lenti e della fantasia al potere. È nel contesto di quel quadro culturale irripetibile che il film va calato e ammirato. Non è un caso che l’omonima serie tv in sei puntate prodotta nel 2018, con l’intento di riprendere il soggetto svecchiandolo di quella patina senza tempo donata da Weir, non si avvicini neppure lontanamente al fascino trasognante dell’originale. Tutto troppo esplicito, ridondante, smaliziato, in linea con un’epoca che ha perso completamente la tensione onirica e immaginifica. Nulla che possa rimandare a quella fulgida mescolanza di energie oscure e giovinezza, morte, fascinazione, conformismo e fuga, mantecata in un incanto cinematografico capace di influenzare anche le generazioni a venire.  
 
Un finale in realtà esiste. La soluzione all’enigma fu pubblicata dall’agente letterario John Taylor alla morte della Lindsay, come da accordi. Il cosiddetto capitolo 18, la cui espunzione fece le fortune del romanzo, fu reso noto solo nel 1987 nel pamphlet The Secret of Hanging Rock. Miranda e Marion, sulla vetta di Hanging Rock, passeranno attraverso un portale nella roccia a una dimensione altra, guidati dalla trasfigurata figura dell’anziana McGraw coi vestiti a brandelli, irriconoscibile, la cui guida spirituale farà da corollario a una temporanea contrazione dello spazio e del tempo, in un presente che sulla rocca diventerà eternità. Per questo Irma riuscirà a sopravvivere ben otto giorni: la sua razionalità non le avrebbe permesso di varcare la soglia, rimanendo sospesa in una sorta di limbo durato per lei pochi attimi. Nessun'altra risoluzione all’immane dicotomia inscenata dall’autrice tra la presuntuosa cultura vittoriana europea, convinta di poter incasellare la realtà dominandola, e le forze oscure della natura, arcane ed eteree, sarebbe stata possibile.
 
Anche il nostro immaginario è rimasto ad Hanging Rock, insieme alle ragazze del claustrale Appleyard College. Ripercorrerne ogni volta la scalata, nella sua accezione iniziatica, conduce a un più alto piano ideale: ci instrada verso la dimensione spirituale, alla discesa dentro le cavità del sé, al predominio dell’istinto sulla ragione. In una società mai così arida e deterministica, nella quale l'esistenza del trascendente viene insopportabilmente esecrata, il capolavoro di Peter Weir scalderà il cuore ancora per molti anni a venire.


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