L'arcobaleno di Mogol-Battisti - InEsergo

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17 Settembre 2020 - Storie

Storia dell'ultimo brano scritto nel nome della coppia, tra suggestioni medianiche e strabilianti coincidenze

L'arcobaleno di Mogol-Battisti
 
L’arcobaleno è il mio messaggio d’amore, può darsi un giorno ti riesca a toccare

Mogol non credeva ai suoi occhi. La canzone era finita da una settimana ma c’era questa frase, questa idea dell’incontro ravvicinato con l’arcobaleno che gli appariva totalmente insensata. Gli era venuta fuori così, di getto, e non trovava il modo di modificarla. Aveva passato una settimana a provare a girarla in maniera diversa. Poi un pomeriggio in autostrada all’altezza di Settebello notò un arcobaleno a due metri dalla macchina, di circa duecento metri di ampiezza, con colori “che non ho mai più visto in vita mia”. Cominciò a piovere e quell’arcobaleno si spostò prima sulla strada e poi raggiunse il cofano dell'automobile. Fu una fortuna che con lui ci fosse un testimone perché “una roba del genere se me l’avessero raccontata non l’avrei mai creduta”. Chiamò Celentano: “non c’è nulla da modificare, cantala così”.
 
Io son partito poi così d’improvviso, che non ho avuto il tempo di salutare
 
È noto come per l’uomo l’arcobaleno sin da tempi antichissimi simboleggi un trait d’union tra cielo e terra, realtà materiale e invisibile. Per i greci era impersonificato dalla dea Iride, latrice di messaggi funesti. Per i cinesi raffigura un drago a due teste, mediatore tra questo mondo e quello ultraterreno. I nativi americani del popolo dei Navajo lo considerano un serpente che può essere cavalcato con significato iniziatico, per volontà diretta del Grande Spirito. Anche le antiche culture celtiche, intravedendo nell’arcobaleno la rappresentazione celeste del ventre gravido della donna, coglievano un collegamento con l’energia lunare e femminile legata alla fertilità. Nella Bibbia l’arcobaleno compare, sin da subito, come simbolo soprannaturale del supremo patto tra Dio e l’uomo successivo al diluvio universale, riconciliazione tra terra e cielo e promessa per l’eternità. Fu proprio quest’ultima l’accezione condivisa dallo stesso Lucio Battisti, stando alla descrizione dell’incredibile esperienza onirica (?) di Giulio Caporaso, direttore editoriale e responsabile del mensile del Diners Club, Firma.
 
Son diventato sai il tramonto di sera e parlo come le foglie di aprile
 
È l’ottobre del 1998. Battisti era mancato da poche settimane. Caporaso, che l’11 settembre si trovava a Roma in piazza del Campidoglio assieme ad altre ventimila persone per assistere al concerto tributo Il Mio Canto Libero, quella notte fece un sogno che non sembrava un sogno ma uno stato di grazia talmente vivido da indurlo a stravolgere i piani editoriali della rivista per raccontarlo pubblicamente. Supportato dagli acquarelli del pittore Massimo Pennacchini, egli descrisse il dialogo avvenuto con “il mio cantante preferito” su una distesa senza fine di sabbia bianca e soffice, al di sotto di un’enorme cupola a forma di arcobaleno. Battisti parla a Caporaso, cattolico fervente, di amore universale e di serenità intesa come condizione interiore, armonia col creato, in grado di influenzare positivamente anche gli altri. “Perché ci troviamo sotto questo enorme arcobaleno?” – chiede Caporaso. “Perché l’arcobaleno rappresenta l’alleanza tra Dio e l’uomo”, risponde Battisti.
 
Ascolta sempre solo musica vera e cerca sempre se puoi di capire
 
Appena una settimana prima la segretaria di Mogol aveva ricevuto la telefonata della sassolese Paola Guidelli, autodefinitasi una medium. Tempo dopo la Guidelli smentì di considerarsi tale, perlomeno nel senso di mediatrice tra vivi e morti, tra questo mondo e l’aldilà, sebbene in passato avesse supportato le forze dell’ordine a ritrovare persone sequestrate o uccise osservando semplicemente le loro foto e lasciandosi guidare da un intuito totalmente fuori dal comune. Qualcosa di singolare le accadde anche quando notò l’improvvisa presenza di un arcobaleno in un angolo dello specchio nel bagno; giorni dopo avvertì l’esigenza indifferibile di entrare in una biblioteca e posare lo sguardo su un libro dal titolo Más allá del arco iris (in italiano, Al di là dell’arcobaleno). Confessò in un secondo momento di essersi inventata il dialogo medianico con Battisti, e che l’idea di Mogol autore di una canzone come dedica del vecchio amico discendesse da un intimo desiderio piuttosto che dall’istanza superiore di un’anima vagolante. Gesto singolare e probabilmente temerario, ma animato da una percezione sincera e un sentire prodigioso, una sfida para-medianica nel nome della fratellanza e della purezza. Per la non-medium, infatti, la canzone avrebbe poi dovuto essere divulgata gratuitamente e non collocata all’interno di un album commercializzato.
 
Con i colori si può cancellare il più avvilente e desolante squallore
 
Cominciavano a essere un po’ troppe e singolari le coincidenze per Mogol - che tenne per sé gli avvenimenti di quei giorni e attese un anno e mezzo dalla pubblicazione dell’album di Adriano Celentano Io non so parlar d’amore (avvenuta nel maggio del 1999) prima di renderli noti pubblicamente, onde evitare di indurre l’antipatico sospetto di una fastidiosa promozione in salsa spiritistica. Una sera a casa di Celentano raccontò tutta la sequenza di fatti. Gianni Bella, che ascoltò incredulo, gli fece sentire l’unica melodia registrata sulla cassetta che in quel momento portava con sé. Mogol si decise di scrivere la canzone: la musica era esattamente quella de L’arcobaleno.
 
Il mio discorso più bello e più denso esprime con il silenzio il suo senso
 
Celentano la registrò alle 3 di notte, nella sala di incisione allestita nel soggiorno. Ne fece anche una seconda versione ma la cancellò terrorizzato appena si rese conto di averla cantata in maniera esattamente identica al precedente, unico take. È un’interpretazione sussurrata, la più toccante della sua carriera, del testo che Mogol scrisse di getto in un quarto d’ora dettandolo a un’amica mentre andava in autostrada da Milano verso Lodi, con la sola musica di Gianni Bella in sottofondo. Malgrado il brano sia dedicato a Battisti, in quanto ispirato dall’incredibile serie di eventi sopraccitati, le parole sono esattamente quelle che Lucio avrebbe potuto rivolgere al vecchio amico da cui si allontanò all’inizio degli anni ’80 per seguire una parabola artistica e creativa totalmente nuova. Gli album bianchi erano dietro l’angolo, a cambiare definitivamente il rapporto tra il genio di Poggio Bustone e il suo pubblico. E anche la storia della musica italiana.

E devo dirti che è un piacere infinito portare queste mie valigie pesanti.

Poscritto. In data 23/09/2020 chi scrive ha avuto modo di contattare via mail la sedicente medium/non-medium Paola Guidelli, dalla quale tutta la storia s’è incamminata. Sollecitata alla lettura dell’articolo, ne ha definito il contenuto “completamente errato”, in quanto basato sul “sacco di scemenze” che Mogol ha raccontato negli anni a giornalisti, scrittori, produttori e segretarie che “sbavano” per lui. Alla disponibilità di modificarne alcune parti, o comunque di dare spazio a una verità alternativa magari più scomoda e prosaica, la signora ha risposto che lo scrivente non è in grado di recepire la Verità, perché “non è per tutti”, che il diniego dipende dalla conoscenza della mia faccia, e che comunque lei avrebbe “dato spiegazioni” varie volte ma sarebbero “sparite nel nulla”. In effetti, mentre Mogol ha sempre raccontato con coerenza la sua verità (giusta o sbagliata che sia, in buona o cattiva fede non sta a chi scrive giudicarlo), la signora si appella a una Verità conosciuta solo da lei o comunque inaccessibile a chi non sia di sua elezione e non documentabile (né documentata) in alcun modo. In rete (su YouTube) dalla viva voce di Paola Guidelli è rintracciabile solo un’intervista di Giuseppe “Lupo” Lupoi che, non scendendo mai nei dettagli della vicenda, non può considerarsi in alcun modo una fonte realmente complementare. Si lascia ai lettori la libertà di trarne le conclusioni più opportune.
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