Senza punizioni né ricompense - InEsergo

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28 Aprile 2023 - InterEssere

Superare i traumi di un’educazione condizionante

Senza punizioni né ricompense

Pur con varia intensità e pur adottando sanzioni diverse, quasi ovunque si ritrova […] la tendenza a sbarazzarsi il più in fretta possibile del bambino che è in noi, ossia della creatura debole, indifesa e dipendente per poter diventare l’individuo adulto, autonomo ed efficiente, che merita considerazione. Quando ci capita di ritrovare quella creatura nei nostri figli, allora la perseguitiamo con mezzi analoghi a quelli usati con noi stessi. E tutto questo lo chiamiamo educazione".
Miller A., La persecuzione del bambino, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, pag. 51.
 

Nonostante, oggi ci sia molta più cura e consapevolezza del ruolo genitoriale rispetto agli anni della cosiddetta pedagogia nera (il cui principale obiettivo era quello di correggere la natura "cattiva" del bambino attraverso la coercizione e la sanzione), mi capita ancora frequentemente di ascoltare, sia da genitori sia da figure professionali che si occupano di educazione, che la punizione è considerata ancora una delle strategie migliori per far sì che i bambini si comportino bene. In realtà, molte ricerche confermano proprio il contrario, ovvero che i bambini che vengono frequentemente puniti oppongono molta più resistenza rispetto a ciò che gli stiamo chiedendo di fare o di non fare, aumentando dunque il loro grado di risentimento e di ostilità.

Generalmente, quando il bambino viene punito, il suo sistema nervoso autonomo, per un istinto difensivo di sopravvivenza, introduce diverse strategie, principalmente di difesa o di attacco: in questo stato d'agitazione e di impotenza il bambino cercherà di ribellarsi o, credendo di non avere le risorse e gli strumenti per opporsi, si sottometterà, ma in ogni caso difficilmente sarà disponibile all'ascolto e ad apprendere qualcosa di nuovo. (Si veda l'articolo sulla Teoria Polivagale). Per di più, le sensazioni che nascono da queste esperienze stimolano nella persona emozioni legate a rabbia e paura e finiscono per essere strutturate in modo indelebile nel suo corpo e nella sua mente.

Al contrario di ciò che solitamente pensiamo, dunque, scegliere di punire non stimola l'intelligenza quanto piuttosto un atteggiamento furbo (in quanto probabilmente il ragazzo cercherà sotterfugi per non farsi “beccare” più in flagrante), non aiuta lo sviluppo dell'autonomia ma la dipendenza (in quanto il giudizio o la critica non incoraggia i figli ad avere fiducia nelle loro capacità) e infine non sostiene i bambini e i ragazzi ad apprendere come gestire in modo sereno e consapevole le proprie emozioni ma semmai a fare esperienza di sensazioni difficili da attraversare e abbandonare quali vergogna, senso di colpa, rabbia e paura.

La ricompensa

Abbiamo imparato molto presto ad auto-educarci nello stesso modo in cui noi siamo stati cresciuti. Quindi, se abbiamo ricevuto frequentemente punizioni per il nostro comportamento inadeguato o premi per rafforzare ciò che gli altri volevano da noi, è probabile che i nostri pensieri e comportamenti siano influenzati da uno schema di credenze basato su giudizi, senso di colpa e vergogna. E, se non ne diventeremo consapevoli, quasi sicuramente questa modalità educativa continuerà ad essere quella prevalentemente utilizzata anche con i nostri figli. E così via, per generazioni.

Al contrario, se la nostra intenzione non è imporre consapevolmente il nostro volere ma piuttosto creare una relazione di qualità basata sul rispetto, sulla fiducia, sull'ascolto reciproco e, soprattutto, sulla ricerca condivisa della felicità di tutti, non useremo le punizioni ma nemmeno le ricompense in quanto, in entrambi i casi, viene esercitato un potere coercitivo e manipolatorio sulla persona. Invece, quando le nostre azioni sono guidate dal desiderio di agire il nostro potere con gli altri e non sugli altri, il nostro obiettivo sarà principalmente creare una connessione empatica e amorevole, in cui entrambe le parti sono consapevoli che il proprio benessere e la soddisfazione dei bisogni dell'altra persona, sono fondamentali e interdipendenti.

Amore incondizionato

L'aspetto più doloroso di un'educazione basata su premi e punizioni è forse quello di sentirsi accettati e approvati "solo se". Questo amore condizionato crea delle profonde ferite che vanno a minare la costruzione dell'identità: è probabile che i figli, piuttosto che perdere l'amore dei genitori costruiscano un falso sé, compiacente e remissivo. In questo modo l'amore dei genitori è garantito ma ad un caro prezzo: la perdita della propria forza vitale.

In seguito, i ragazzi incapaci di guardare al proprio dolore non solo non sapranno ascoltare, validare ed esprimere le proprie emozioni, ma non avranno neanche il coraggio della consapevolezza dei movimenti interiori. Cosicché, ogni qualvolta le esperienze della vita porteranno alla luce la voce del suo bambino interiore ferito, probabilmente l'adulto proietterà queste parti inconsce e inaccettabili sulle persone che egli incontrerà sul suo cammino. Figli compresi. Solo quando avrà il coraggio di guardare la propria infanzia, elaborare i propri traumi e renderli consapevoli, si diminuirà il rischio di una pericolosa coazione a ripetere intergenerazionale.

Abbiamo dunque confuso l'educazione con l'addomesticamento, con il meccanismo premio/punizione, giusto/sbagliato. Ciò significa che abbiamo messo un grande paletto davanti all'amore: dall'amore incondizionato siamo rimasti incatenati ad un surrogato dell'amore ridotto, condizionato. Ciò si concretizza in frasi che hanno ripercussioni molto dolorose: "questo lo meriti solo se…” oppure “non sei abbastanza bravo per farcela". Alla fine, questo dialogo distorto e disconnesso conduce a un paradosso: ci puniamo da soli e pensiamo di non meritarci di essere felici. La felicità diventa una meta raggiungibile solo se te lo meriti, ti sforzi e soprattutto se ti comporti secondo le aspettative degli altri. Quindi, sarà molto più importante soddisfare le richieste degli altri piuttosto che essere profondamente connessi con ciò che è vivo in noi stessi: l'obiettivo è diventare ciò che gli altri si aspettano da te per non andare in quella zona di grande sofferenza che ci fa credere che, se non lo faremo, perderemo l'apprezzamento, l'appartenenza e l'amore. Quando diventiamo consapevoli di questo meccanismo potremo ritrovare il coraggio di scegliere di manifestarci e accettarci per quello che siamo, passando dalla schiavitù emotiva alla liberazione.

Prendendoci cura amorevolmente di noi stessi, scegliamo la realtà al posto dell'illusione e tutte le nostre potenzialità si manifesteranno appieno perché liberate dalla gabbia che, probabilmente da bambini, abbiamo costruito per proteggerci ma che ora, adulti con risorse e strumenti molteplici, non solo ha perso la sua funzione ma ci costringe, drammaticamente e inesorabilmente, all'infelicità.


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