Mare o Montagna? (O prateria?) - InEsergo

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25 Novembre 2020 - Storie

L’ancestrale dilemma delle vacanze estive potrebbe risolversi indagando le nostre percezioni o essere trasceso tramite l’arte

Mare o Montagna? (O prateria?)
 
Illustrazione di Michele Lepera
Quali sono i tuoi luoghi dell’anima? Senza pensarci troppo visualizzali in quella scatoletta delle cose preziose che si trova appena dietro la tua retina.
 
Che cosa vedi? Distese sconfinate d’acqua, d’aria, di prati o di deserti; boschi e case sugli alberi, alte vette luccicanti di ghiacciai. O ancora grattacieli e luci colorate; piccole baie chiuse da promontori; quattro pareti calde e rassicuranti. Una stanza.

Ora prova a fare un giochino semplice semplice. Prendi un foglio (un foglio mentale, perché so che non lo farai mai nella realtà e whatsapp reclama la tua attenzione) e riduci a pochissime linee schematiche il tuo luogo dell’anima. Come sono queste linee? Sono per la maggior parte verticali (tendenti alla verticalità) od orizzontali?
 
Se hai più luoghi dell’anima, puoi fare uno schema per ciascuno e confrontarli: più verticali, più orizzontali o in egual misura?

Bill Holm, scrittore statunitense di origine islandese, contrappone la visione orizzontale a quella verticale, ovvero le sensazioni che proviamo quando siamo in un luogo che si accorda o si discosta dalle nostre percezioni.

Ci sono due tipi di occhi, nella testa umana - l’occhio del mistero e quello della cruda verità - il nascosto e l’evidente - l’occhio da boschi e l’occhio da praterie. L’occhio da prateria cerca la distanza, la chiarezza, la luce. L’occhio da boschi la vicinanza, la complessità e le tenebre. [...] Un occhio non è superiore all’altro, ma sono diversi. [...] Essi esistono in ogni testa umana, ma l’uno o l’altro di solito è dominante. [...] Io ho un occhio da prateria” ammette l’autore “i boschi fitti e le montagne mi innervosiscono”.*

Nella mia testa di ligure, plasmata dal tuffo improvviso della verticalità appenninica nell’orizzontalità del mare, regna un certo equilibrio tra i due occhi. Ne è testimone uno dei miei luoghi dell’anima (che non si trova in Liguria) nel quale una piccola e dolce valle è circondata da vette alpine, quasi a formare un grembo materno.

Quando invece fu il piccolo Patrick ad uscire dal grembo materno, aprì gli occhi sulle sconfinate praterie del midwest americano. La sua epidermide registrò un’immensa linea distesa, ondeggiante ai venti che in certi periodi non smettono di soffiare e, a volte, rinforzano così tanto da concentrare la potenza del cielo in totemici e devastanti tornado.
 
Naturale quindi, per la famiglia del piccolo Patrick, la tendenza a esorcizzare e addomesticare tutta quell’aria, accumularla nei polmoni e trasformarla in musica. Così fu per il nonno, il papà e il fratello che soffiavano note di continuo, in casa e nei pub, ciascuno dalla propria tromba.

Ci provò anche lui, il piccolo Pat, dal sorriso solare e simpatico e, anche se l’esperienza fu solo una parentesi pre-adolescenziale, il suono della tromba non lo dimenticherà mai, riproducendolo spesso con la sua chitarra, dall’avvento del sinth in poi.

Qualcuno di voi, a questo punto, si starà chiedendo chi sia Patrick. Qualcun altro forse avrà capito: è Pat Metheny - classe ’54, Lee’s Summit, Missouri - pluripremiato chitarrista e compositore (vincitore di 20 Grammy Awards), la cui lunga carriera “spazia” dal jazz tradizionale al free e al garage jazz; dalla fusion, alla world music. Se queste sono le etichette ufficiali, ne aggiungo una io: wide music, forse più in sintonia con l’intervista rilasciata a La Repubblica nel 2005 a proposito della sua musica:

«A patto che allarghiamo il più possibile il senso della parola jazz». E allarga le braccia alzandosi dal divano, come a cercare di contenere l'intero mondo musicale. (Enrico Sisti - La Repubblica).

Nell’album d’esordio “Bright size life” (ECM, 1976) gli orizzonti si spalancano davanti come i possibili futuri nelle mani di un bimbo. Ascoltando Sirabhorn e Midwestern Night Dream, sono seduto e protetto sotto la folta chioma dell’albero in copertina (forse metafora dei capelli di Pat) mentre i limiti del pensiero si sdraiano sul grande prato.

Un’altra cover photo descrive nel modo più lampante quanto il Missouri sia, non solo il suo luogo di nascita ma anche un vero e proprio luogo dell’anima, fonte di ispirazione e di continuo ritorno: “Beyond the Missouri Sky” (Verve Records, 1997) scritto e suonato insieme al contrabbassista Charlie Haden. Una minuscola fattoria, la prateria e un cielo che, nella foto all’interno del booklet, s’allarga e si gonfia. Visione orizzontale per eccellenza negli occhi di Pat, marchio di fabbrica della sua apertura sonora e del suo lirismo, sia nelle esperienze soliste che - soprattutto - nel Pat Metheny Group, grazie al quale la “wide music” raggiunge la massima estensione.

Quanta aria c’è nel tema ricorrente della soundtrack che scrisse per il film “A map of the world” (1999)! Family, seconda traccia dell’album, potrebbe essere un ricordo d’infanzia delle sue corse nelle praterie sterminate? Mi piace pensarlo così: un piccolo Patatiny (mi si conceda il vezzeggiativo) col vento tra i capelli che saltella e insegue pensieri magici. Gli armonici che spuntano nell’incalzante melodia iniziale potrebbero essere quei saltelli, quei pensieri magici di bimbo.

E quanto pensiero magico deve persistere - cioè resistere al predominio dell’ottusità adulta - nella mente del nostro artista per concepire e progettare l’impensabile chitarra Pikasso a 42 corde (unione di 3 chitarre e un’arpa)! Uno strumento che viene direttamente dal pianeta dell’immaginazione e il cui suono sembra racchiudere l’intera rosa dei venti.

Bene, se sei arrivato a leggere fino a qui, significa che hai un po’ di tempo a disposizione. Quindi cerca “The Way Up” (Warner Bros. 2005), ultimo album ufficiale del Pat Metheny Group. Fai partire il terzo brano: The Way Up, Part three. Se hai tempo ma non pazienza posiziona il cursore al minuto 5:45, alza il volume e chiudi gli occhi. La corsa è già iniziata ma puoi ancora raggiungerli…

Uno scatto veloce / muscoli ancora freddi / il vento ti spinge da dietro / nuvole e fili d’erba cedono il passo / tu stringi la barra / i piedi si stanno staccando dal suolo / vento che rinforza / pensieri scivolano dalle tasche / la prateria diventa scogliera / correnti ascensionali / stridio di gabbiani / luce dappertutto / il deltaplano ha sete d’aria / settimo minuto e 11 secondi / SALTA!

Ecco l’Oceano. Ti batte il cuore?
Ora lasciati andare. Ascolta l’aria, la leggerezza del mondo.  
Migra dentro te e goditi il volo.  

PS: avrai notato, Attenta Lettrice Attento Lettore, che manca la visione verticale.  
Ti chiedo di pazientare fino al prossimo mese, o forse prima, chissà.
Nel frattempo, se hai piacere, puoi condividere sulle nostre pagine social le tue visioni ed elucubrazioni “orizzontali”.

* La citazione del brano di Bill Holm è presente all’interno del libro “Nel bianco” (Neri Pozza Editore, 2008) della scrittrice italiana Simona Vinci.
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