Il Joker, tra follia e libertà - InEsergo

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11 Luglio 2021 - Cinema

La follia come principio di autodeterminazione

Il Joker, tra follia e libertà
  
“L’equilibrio tranquillizza, ma la pazzia è molto più interessante”
Bertrand Russel

Non sono mai stata un’esperta di Tarocchi, ma le volte in cui ho avuto la possibilità di farmeli leggere sono sempre rimasta affascinata dalla figura del Matto. L’arcano mostra l’immagine di un uomo che veste i panni del giullare e che, durante il suo cammino, viene morso alla coscia da un cane intento a strappargli le brache. Porta con sé una piccola bisaccia contenente lo stretto necessario per proseguire il proprio viaggio e un bastone al quale appoggiarsi. Tale carta è associata al numero zero, per sottolineare l’estraneità della figura e del suo corrispondente significato alla numerazione che viene assegnata agli altri arcani e quindi a qualsiasi forma di ordine costituito.

Lo Zero riflette il principio, l’origine del tutto, ma è anche il simbolo del Caos; così l’essenza del matto si palesa in chiunque decida di opporsi ai conformismi, ai sistemi gerarchizzati, all’ordine appunto. Le Fou, divenuto poi il Jolly nelle carte da gioco francesi, è caratterizzato dall’imprevedibilità, dall’assenza di regole, dal bisogno di cambiamento e di azzerare le disparità sociali; egli è il protettore dei più deboli, dei soggetti considerati dalla collettività deviati. In genere non si ha difficoltà a cogliere la differenza tra il folle e un soggetto sano; tuttavia quando si cerca di distinguere la follia dall’estro, dalle scelte più coraggiose, dal potere della creatività, i confini della ratio si restringono e si rivela ostica l’attribuzione di definizioni e significati univoci alla follia, riconducibili solo alla malattia fisica o a una morale deviata.

Il filosofo francese Michel Foucault è stato in grado di restituire attraverso il volume Storia della follia nell’età classica una vera e propria genealogia della follia. Nel Medioevo l’immagine del folle coincideva con la categoria dei poveri, dei miserabili; tuttavia alla miseria veniva assegnata una connotazione positiva, probabilmente legata al culto cristiano che si faceva promotore di princìpi quali l’umiltà e il rifiuto della ricchezza materiale. In Età moderna, invece, la follia accoglie uomini dissoluti, donne lunatiche, mendicanti; soggetti che vengono progressivamente rinchiusi nelle case di correzione, come l’Hopital Général: luoghi adibiti alla riabilitazione, che poteva essere ottenuta attraverso la punizione corporale, la preghiera, la medicina e in alcuni casi il lavoro forzato, in una commistione di pratiche sulle quali imperava il senso morale. Paradossalmente, il folle non è un alienato prima di essere rinchiuso, ma lo diventa dopo quello che Foucault chiama il grande internamento. Il filosofo riconduce quindi gli alienati alla sragione, ovvero a tutti quegli atti con i quali gli alienati si allontanano dalla ragione stessa. Tenendo conto del ruolo centrale che la razionalità assunse durante l’età dei Lumi, non sorprende il fatto che a quel tempo vigesse l’esigenza per la ragione di allontanar da sé il suo contrario, perché una mente che ospita in sé ragione e follia sarebbe condannata a essere prigioniera delle contraddizioni.

Inutile ribadire la necessità che ha sempre spinto la filosofia a giustificare l’esistenza di un ordine in grado di spiegare il rapporto tra causa ed effetto di ogni singolo evento. Ma la nostra natura si riduce solo a questo? Al mero calcolo, al controllo, alla spasmodica ricerca di un principio primo che tutto spiega e da cui tutto dipende?

Beh, basterebbe tirare fuori il Jolly dal mazzo per ipotizzare che, forse, potrebbe non essere così:

“Lo sai cosa sono? Sono un cane che insegue le macchine. Non saprei che farmene se le prendessi! Ecco io agisco e basta. Loro sono degli opportunisti. Opportunisti che cercano di controllare i loro piccoli mondi. Io non sono un opportunista. Io cerco di dimostrare agli opportunisti quanto siano patetici i loro tentativi di controllare le cose. Anche tu eri un opportunista. Avevi dei piani. E, guarda dove ti hanno portato. Io ho solo fatto quello che so fare meglio: ho preso il tuo bel piano e l’ho ribaltato contro di te! Guarda cosa ho fatto a questa città con qualche bidone di benzina e un paio di pallottole. Uhm? Ho notato che nessuno entra nel panico quando le cose vanno “secondo i piani”, anche se i piani sono mostruosi. Se domani dico alla stampa che un teppista da strapazzo verrà ammazzato o che un camion pieno di soldati esploderà, nessuno va nel panico, perché fa tutto parte del piano. Ma quando dico che un solo piccolo sindaco morirà… Allora tutti perdono la testa! Se introduci un po’ di anarchia, se stravolgi l’ordine prestabilito, tutto diventa improvvisamente caos. Sono un agente del caos. Ah, e sai qual è il bello del caos? È equo.”

Colui che parla è il famoso Joker interpretato da un magistrale Heath Ledger nel secondo capitolo della trilogia di Christopher Nolan dedicata a Batman. Nonostante i tratti inquietanti di questo controverso personaggio, paradossalmente da questo monologo emerge una visione positiva del caos. Esso non si configura come un effetto collaterale della nostra esistenza, come un’anomalia da estirpare; bensì rappresenta l’essenza stessa del mondo. Se l’essere umano è terrorizzato dall’idea che la sua piccola dimensione accuratamente confezionata possa essere sconvolta da ciò che non è in grado di controllare, Joker lo invita ad accogliere il disordine della vita e della sua natura contraddittoria, in virtù del superamento degli imperativi morali, dell’annullamento del conflitto fra il bene e il male e del raggiungimento di una libertà mai provata prima. In fondo La follia è come la gravità, basta solo una piccola spinta.



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